Per sostenere la transizione energetica verso fonti di energia pulita, è sufficiente impiegare una piccola parte degli attuali sussidi ai combustibili fossili.
L’Arabia Saudita dei petrolieri guarda al futuro, cioè alle fonti rinnovabili
La competitività economica di solare ed eolico rispetto al petrolio è diventata così evidente da spingere perfino i principali produttori di petrolio al mondo, come l’Arabia Saudita, a puntare sulle rinnovabili.
L’Arabia Saudita, paese petrolifero per eccellenza che ha costruito le sue ricchezze sui giacimenti fossili, sta cercando di indirizzare il suo business su un’altra fonte di energia, il sole.
Sotto la guida del principe Mohammed bin Salman, il Paese sta cercando di diversificare la sua economia e stimolare la crescita, puntando sulle fonti rinnovabili. Il governo saudita vuole non solo rimodellare il suo mix energetico nazionale, ma emergere come forza a livello globale nel settore dell’energia pulita. Una strategia che ha avuto i suoi oppositori interni nel paese, ma che finalmente sta prevalendo.
Un nuovo piano per le rinnovabili
L’Arabia Saudita punta a investire entro la fine dell’anno fino a 7 miliardi di dollari per sviluppare sette nuovi impianti solari e un grande parco eolico. Il paese spera che le energie rinnovabili, che rappresentano ora una quantità trascurabile dell’energia all’interno del suo mix energetico, possano essere in grado di fornire fino al 10 per cento della sua produzione di energia entro la fine del 2023.
Il governo di Riyad ha già contattato la Acwa Power, una società energetica saudita, per costruire un impianto solare in grado di generare elettricità sufficiente a soddisfare la domanda di 200mila famiglie. Il progetto da 300 megawatt costerà 300 milioni di dollari e creerà centinaia di posti di lavoro. L’impianto solare, recentemente annunciato, verrà costruito a Sakaka, nel nord dell’Arabia Saudita, con un costo di generazione elettrica tra i più bassi mai realizzati, pari a 2/3 centesimi per chilowattora, perfino inferiore al costo del chilowattora prodotto con il petrolio.
Turki Al-Shehri, Head of Renewable Energy Project Development Office, during his keynote speech at the Saudi-focused session at the World Future Energy Summit#ADSW #SaudiArabia pic.twitter.com/9EyjgxDbSp
— KSA Climate Change (@KSA_Climate_) 16 gennaio 2018
Tutta questione di soldi
L’Arabia Saudita, con le sue vaste risorse petrolifere, non sembra certo essere l’esempio ideale della trasformazione energetica verso le rinnovabili, eppure sta accadendo, ma il motivo è semplice: è tutta una questione economica.
La strategia delle energie rinnovabili ha iniziato a prendere forma quando Khaled al-Falih è diventato ministro dell’Energia nel 2016. Falih ha fatto dell’energia solare ed eolica una priorità per il regno saudita e lo scorso anno ha creato una nuova unità per accelerare i lavori. A capo dell’unità energie rinnovabili c’è Turki al-Shehri, che ha lavorato per la Aramco, la compagnia nazionale saudita di idrocarburi che oggi sta spingendo con decisione la strategia di sviluppo delle rinnovabili, sprinto dai valori economici delle operazioni. La posizione e il clima in cui si trova l’Arabia Saudita fanno sì che il Paese possa contare su siti ideali sia per impianti solari sia per parchi eolici, con costi di installazione e gestione assolutamente competitivi con i combustibili fossili.
Minori consumi di petrolio a vantaggio dell’export
Produrre energia da rinnovabili ha anche un altro vantaggio per l’Arabia Saudita, tutto il petrolio risparmiato utilizzando l’energia elettrica prodotta dalle rinnovabili può essere esportato con maggiori vantaggi economici.
I sauditi fanno largo utilizzo di condizionatori d’aria per la maggior parte dell’anno, in particolare durante la torrida estate araba quando la domanda elettrica cresce vertiginosamente. Oggi la maggior parte dell’elettricità è generata da centrali elettriche alimentate a petrolio. Secondo i dati forniti dalla Joint Organizations Data Initiative, un gruppo di monitoraggio, lo scorso giugno le centrali saudite hanno bruciato una media di 680mila barili di petrolio al giorno. Una quantità paragonabile alla produzione di un paese produttore di petrolio di dimensioni modeste come l’Egitto. Se fosse stato venduto all’estero, quel greggio avrebbe permesso di aumentare di 47 milioni di dollari al giorno le entrate del governo. Risorse che l’Arabia Saudita non si può permettere di perdere perché essenziali al bilancio economico del Paese.
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