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La fortuna di Giuseppe Arcimboldi
Costruire delle teste umane servendosi di elementi pertinenti ma
di altra natura non è il solo merito riconosciuto
all’Arcimboldi: i ricchissimi significati concettuali e formali
uniti alla tecnica di estrema raffinatezza ne fanno un vero e
proprio manifesto della cultura e dell’arte del suo tempo.
Negli anni Cinquanta Giuseppe Arcimboldi (Milano 1527 circa – 1593)
lavora nel cantiere del Duomo prima di passare a Vienna nel 1562,
come ritrattista e pittore prediletto alla corte dell’imperatore
Massimiliano e, più tardi, di Rodolfo II.
Le favolose teste dipinte nel periodo trascorso a corte
appartengono al regno del meraviglioso e rispondono ad una logica
ingegnosa che si basa sul rapporto di analogia ma anche di dominio
dell’uomo sulla natura.
Come pittore al servizio di una committenza laica e di corte,
Arcimboldi celebra la podestà dell’imperatore Rodolfo II
rappresentandolo nei suoi quadri come Vertunno, il dio della
vegetazione e dei cambiamenti presso gli antichi Romani. La figura
di Rodolfo è composta da magnifici frutti, da fiori e
verdure varie che rappresentano allo stesso tempo anche le quattro
stagioni.
Le stesse stagioni (Primavera, Estate, Autunno, Inverno) e gli
elementi (Aria, Acqua, Terra, Fuoco) alludono alla manificenza
degli Asburgo che dispensano i propri sudditi con l’abbondanza
prodotta da un buon governo.
L’intento allegorico di Arcimboldo si appoggia a una visione
prosperosa e positiva della natura, madre generosa, portatrice di
energie e influenze benigne.
Sonia Tarantola
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