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Gli scettici la chiamano “Chernobyl galleggiante”, una centrale nucleare galleggiante per dare energia elettrica alle piattaforme petrolifere. Una grande minaccia per l’intero ecosistema artico.
Non bastava l’incidente nucleare avvenuto la settimana scorsa in una base militare russa a minacciare l’Artico, serviva anche una centrale nucleare galleggiante. Si chiama Akademik Lomonosov, è un impianto nucleare galleggiante realizzato dai russi. La centrale è composta da 2 reattori del tipo KLT-40, per una potenza complessiva di 70 megawatt. Si tratta della seconda centrale nucleare galleggiante costruita al mondo, dopo l’impianto americano Sturgis.
La nave parte oggi da Murmansk per Pevek (nord-est della Russia), sarà trainata per 5mila chilometri fino all’Artico, dove entrerà in servizio al largo della costa di Chukotka, nella Siberia orientale, per fornire energia a una città portuale di 5mila abitanti e alle piattaforme petrolifere che si trovano in zona.
La nave che era salpata dal cantiere navale di San Pietroburgo nel 2018 ed è stata rimorchiata fino a Murmansk, porto di mare sulla baia di Kola a 32 km dal Mare di Barents, dove i due reattori sono stati caricati con materiale radioattivo.
La Akadimk Lomonosov è lunga 144,4 metri, larga 30 e ha una stazza di 21.500 tonnellate. Contiene due reattori nucleari navali KLT40, ad acqua pressurizzata, in grado di fornire 70 MW di elettricità o 200 MW di calore. Una potenza simile a quella di un impianto eolico, ma con un rischio ambientale infinitamente maggiore. I due reattori sono stati costruiti da Rosatom, impresa russa statale che si occupa di nucleare.
Russia has launched a floating nuclear power plant, a ship which @Greenpeace has already dubbed a “floating Chernobyl.” w/ @dwnews pic.twitter.com/tnZRa6NJdU
— DW Global Ideas & Environment (@dw_environment) 4 maggio 2018
Una centrale nucleare nell’Artico per dare energia elettrica alle piattaforme petrolifere è il peggio che si possa sentire. Eppure non è un film di fantascienza ma è la realtà. Un rischio altissimo per un ecosistema, come quello dell’Artico, già gravemente minacciato e messo in crisi dai cambiamenti climatici. Per gli ambientalisti norvegesi e per Greenpeace il progetto è pericoloso e troppo caro, tanto che hanno soprannominato la centrale come la “Chernobyl galleggiante”.
Dale Klein, l’ex capo della Nuclear Regulatory Commission sotto la presidenza di George W. Bush, in un’intervista a The Verge, ha definito il soprannome come una “tattica intimidatoria”. Tuttavia, Klein ha riconosciuto che se qualcosa dovesse andare storto il disastro di Lomonosov potrebbe essere catastrofico, tanto che ci si dovrebbe “assicurare che questo non accada mai”.
L’8 agosto è avvenuto un incidente nucleare e nella base militare russa di Nenoksa, sulla costa del mar Baltico, a circa 500 chilometri dal confine con la Finlandia. L’incidente è stato causato dall’esplosione del motore jet a propellente liquido di un missile, mentre i militari stavano testando la fonte isotopica del nuovissimo missile da crociera 9M730 Burevestnik che la Nato chiama SSC-X-9 Skyfall.
Il Burevestnick è un missile che gli statunitensi temono molto. Da tempo le principali potenze al mondo stanno cercando di superare la tecnologia che alimenta i missili terra-aria che funzionano ancora a combustibile, rendendoli lenti e inevitabilmente prevedibili. Un motore a propulsione nucleare sarebbe invece uno stravolgimento del sistema missilistico.
Notizie certe sull’incidente non ce ne sono perché, come è avvenuto ai tempi di Chernobyl, le informazioni sono minime e frammentarie. Si sa che lunedì sono stati celebrati i funerali di 5 ricercatori che stavano lavorando sul motore del missile, ma le vittime dichiarate sono sette, di due non si ha alcuna informazione in merito. 15 invece i feriti al momento ricoverati a Mosca.
Contraddittorie anche le informazioni su una presunta evacuazione di Nenoska, che sarebbe dovuta avvenire nella giornata di mercoledì, ma che sembrerebbe non ci sia stata.
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