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Come funziona Artifact, il social network governato da un’intelligenza artificiale
Un news feed personalizzato governato da una IA. I creatori di Instagram presentano Artifact, il nuovo social incentrato sui contenuti testuali.
Nel 2012 Kevin Systrom e Mike Krieger hanno venduto la loro app a Facebook per circa un miliardo di dollari. Si chiamava Instagram, era nata due anni prima e all’epoca era ancora nota soprattutto per i suoi filtri fotografici. Lontanissime erano le stories (copiate da Snapchat), i reel e soprattutto il miliardo e quattrocento milioni di utenti che oggi frequenta la piattaforma, diventata tra le più preziose proprietà del gruppo Meta. Dopo la vendita dell’app, i due si sono presi un lungo periodo di riflessione, hanno collaborato a qualche progetto ma hanno evitato di mettere la loro la faccia su un nuovo prodotto. Fino alla settimana scorsa, quando hanno presentato Artifact, un social network pensato come un “Tiktok per i contenuti testuali”, e che per ora è disponibile a un numero ristretto di persone (basta prenotarsi sul sito).
Cos’è Artifact, il nuovo social dei “padri” di Instagram
Artifact vuole essere “un news feed personalizzato governato da una intelligenza artificiale”, sfruttando i recenti progressi in fatto di machine learning per restituire agli utenti un’esperienza migliore – e fatta su misura per loro. Secondo quanto spiegato a The Verge da Systrom, i due ci lavorano da un paio d’anni. Hanno atteso tanto perché si erano promessi di non fondare una nuova azienda prima che si verificassero tre eventi: innanzitutto, una grande novità nel campo della tecnologia di consumo (in questo caso, le AI e il fenomeno Tiktok); poi l’avvento di un nuovo modo di collegare questa novità al mondo dei social, che ritengono il loro settore di riferimento; infine, una funzionalità chiara e precisa. Insomma, Artifact nasce per risolvere un problema.
Per farlo, prende in prestito un pezzo del modello linguistico Gpt-3 (quello di ChatGpt e Dall-E). In particolare, la “T”, che sta per “transformer” e indica la capacità di questi sistemi di capire il linguaggio umano più facilmente e con maggiore precisione, garantendo al settore un’evoluzione più veloce. Più che a OpenAI, questa tecnologia in particolare è dovuta a Google, che l’ha inventata nel 2017. Oltre a generare testi e immagini, tutto questo può avere ripercussioni positive anche nei social network, rovesciando il loro assunto di base: invece di mostrarti contenuti dei tuoi amici (il modello Facebook) o degli account che i tuoi amici seguono (Twitter), TikTok ha cominciato a mostrare contenuti esterni sulla base di altri parametri che non avevano a che fare con la “rete sociale” degli utenti. Una rivoluzione copernicana che Artifact vuole applicare anche ai contenuti testuali. I co-fondatori precisano di voler lavorare a stretto contatto con gli editori per garantire un’offerta informativa bilanciata e sostenibile (ad esempio mostrando le pubblicità dei siti di news), e di vedere il testo come la prima fase di un progetto più vasto, con il quale vogliono affinare le loro IA.
Il problema della disinformazione
L’idea di un news feed altamente personalizzato da un algoritmo, però, fa anche tornare alla mente precedenti poco gradevoli, come quelli che hanno interessato soprattutto Facebook a partire dal 2015 e che portarono alle molte polemiche e scandali riguardanti le cosiddette filter bubble, le fake news e i deepfake. Problemi che riguardano, seppure in maniera differente, anche la stessa Tiktok, il cui algoritmo tende a distribuire contenuti sempre in linea con le posizioni degli utenti. Il rischio di incappare nella tana del coniglio e in un percorso di radicalizzazione online, quindi, esiste ancora, e non è ancora chiaro quanto le intelligenze artificiali possano aiutare a evitarlo.
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