Aspetti psicologici dell’ortoressia

La scienza della nutrizione ci insegna che la vita di un individuo dipende da come egli si alimenta, la psicologia ci aiuta a comprendere questo.

Per effetto di questo significato simbolico il cibo diventa spesso
espressione di numerosi conflitti psichici che vanno dalla fame
nervosa, che è una risposta a uno stato di depressione e di
vuoto ansioso, all’inibizione, che può riferirsi o
all’alimentazione in generale o a specifici alimenti che hanno per
il soggetto un particolare significato simbolico.

Può succedere che una persona si imponga il rispetto di uno
o più divieti alimentari (no carne, no pesce, si latte ma
solo latte, no latte, no zucchero, no alimenti di origine animale,
no alimenti cotti, ecc.) che vengono idealizzati o razionalizzati
nella scelta di particolari diete o in varie forme ritualizzate di
alimentazione il cui fine è la proibizione del piacere
associato all’alimentazione.

Quando il divieto arriva a costituire il centro del comportamento
dell’individuo, si assiste alle varie forme di disturbo del
comportamento alimentare come rifiuto sistematico del cibo
nell’anoressia, impulso irrefrenabile al cibo nella bulimia, e come
controllo ossessivo di uno o più aspetti riferiti al cibo
come nella ortoressia.

Una persona che soffre di ortoressia mangia principalmente
perché è un dovere , per rispondere a determinati
bisogni (es. mantenersi in salute, prevenire la stipsi, prevenire
il tumore, ecc.), non per il piacere di gustare la pietanze, per
scoprire sapori nuovi o per il piacere legato alla relazione umana
che caratterizza il momento del mangiare.
Tale tendenza può essere lieve o assumere i toni di una vera
ossessione che può portare il soggetto a consumare solo
determinati alimenti con specifiche caratteristiche in assenza
delle quali egli può arrivare piuttosto a privarsi del cibo,
incurante del rischio nutrizionale cui si espone.
Vediamo una persona che ha paura della malattia e deve controllare
che tutto sia sano; vive come minaccioso il mondo esterno e deve
controllare il cibo che assume, l’oggetto concreto di contatto tra
interno ed esterno. La difficoltà a viversi le emozioni e a
modulare la propria aggressività genera ansia da cui il
soggetto ortoressico tenta di difendersi con il controllo stretto
del cibo che viene utilizzato come oggetto che separa e non come
momento di com-unione fra sé e gli altri.

Le scelte alimentari di chi soffre di ortoressia non conoscono la
via di mezzo in cui i contrari si trovano senza prevalere come in
una dieta in cui si mangi un po? di tutto; egli deve sempre
scegliere tra qualcosa che è meglio del suo contrario e
darne ragione: il salato rispetto al dolce, il crudo rispetto al
cotto, l’animale rispetto al vegetale, e in questo modo ci informa
che la sua personale difficoltà è proprio quella di
non riuscire a tenere unite le due parti opposte senza provare una
terribile ansia che solo con la separazione può tenere a
bada, è per questo che sceglie un polo e non il giusto
mezzo.

Se il problema è la paura di provare piacere attraverso
l’esperienza (con il cibo, attraverso la relazione, ecc.), il
tentativo di difendersi da tale paura può portare a seguire
un rituale dietetico particolare che imponga alcune regole fra cui,
ad esempio, quella di assumere solo cibo cotto e di concentrarsi su
di esso in silenzio, masticando a lungo e fino a 100 volte ogni
boccone. Il rituale della dieta macrobiotica appena descritto aiuta
a capire che una persona possa avere una difficoltà di
ordine psicologico e non esserne consapevole e possa mostrarla
molto bene attraverso il linguaggio del cibo: non posso provare il
piacere del cibo cotto al punto giusto, non posso provare il
piacere del crudo, il suo colore vivace, non riesco a togliere
l’attenzione dal mio corpo per parlare con te, ho paura di
contaminarmi, ho paura di ammalarmi, ecc..

Si tratta di un problema di salute che merita tutta la nostra
comprensione, attenzione e cura.

Giulia Fulghesu
Psicologa e dietista

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