Julian Assange potrà ricorrere contro l’estradizione negli Stati Uniti

L’Alta corte di Londra ha riconosciuto i timori di processo ingiusto: Assange potrà ricorrere in un nuovo appello contro l’estradizione richiesta dagli Stati Uniti.

  • Dopo aver ribaltato la sentenza di primo grado, l’Alta corte di Londra ora ha accolto la linea difensiva di Julian Assange.
  •  Il fondatore di Wikileaks ha diritto a un nuovo appello nei prossimi mesi.

La lunga passione di Julian Assange non è ancora finita, ma intanto il processo di estradizione si è fermato. Momentaneamente. L’Alta corte di Londra, infatti, ha concesso un ulteriore appello al fondatore di Wikileaks, riconoscendo come fondate le argomentazioni della difesa dell’attivista sul timore di un processo non giusto negli Stati Uniti.

Assange, quindi, rimane a Londra nel carcere di massima sicurezza dove è attualmente detenuto in attesa di conoscere la data della prossima udienza, dove si dovrà decidere se rimettere in libertà l’attivista oppure estradarlo negli Stati Uniti, dove rischia una condanna di 175 anni di carcere in base alle accuse di aver diffuso documenti riservati del Pentagono, ovvero il dipartimento della Difesa, e del dipartimento di Stato contenenti rivelazioni imbarazzanti, inclusi crimini di guerra commessi fra Afghanistan e Iraq.

Assange
Julian Assange © Jack Taylor/Getty Images

Julian Assange potrà fare ricorso

Era il 20 febbraio quando nel Regno Unito si sono aperte le prime udienze per stabilire se Julian Assange aveva o no il diritto di fare appello contro l’estradizione negli Stati Uniti. Dopo un “no” iniziale, la speranza per l’attivista si era riaccesa il 26 marzo, quando i giudici britannici proprio dell’Alta corte di Londra avevano ribaltato la sentenza di primo grado, concedendo ad Assange la possibilità di presentare la propria linea difensiva contro l’estradizione.

Ora quella linea difensiva è stata accolta con una nuova sentenza dell’Alta corte di Londra: Assange ha il diritto a un nuovo appello contro l’estrazione negli Usa. Sostenendo che “non sono infondati i timori che negli Usa [Assange] abbia processo ingiusto”, il 20 maggio 2024 i giudici dell’Alta corte hanno di fatto riconosciuto come infondate le “assicurazioni vincolanti preventive” fornite da Washington, cioè quelle rassicurazioni con cui gli Stati Uniti hanno stabilito che, nel caso l’attivista fosse stato estradato, comunque non sarebbe stato condannato a morte e anzi avrebbe potuto invocare la tutela sulla libertà di espressione sancita dal Primo Emendamento della Costituzione americana. Ma per gli avvocati della difesa, invocare la tutela sulla libertà di espressione non significa ottenerla.

I tre possibili scenari dell’udienza

Come comunicato più volte dalla moglie Stella Morris, Assange sta attraversando problemi di salute per gli oltre cinque anni trascorsi nel carcere londinese di massima sicurezza di Belmarsh oltre al periodo da rifugiato politico in un’angusta camera dell’ambasciata dell’Ecuador nella capitale del Regno Unito. Durante l’udienza del 20 maggio, in attesa della decisione finale, diverse decine di manifestanti si sono radunati davanti alla Royal Courts of Justice di Londra per manifestare la propria solidarietà ad Assange.

Nell’udienza odierna si sarebbero potuti verificare tre scenari diversi: l’Alta corte poteva accogliere in pieno le garanzie Usa e quindi dare il via libera all’estradizione a stretto giro, salvo i tempi di un ricorso d’urgenza da parte del team legale di Assange alla Corte di Strasburgo. Un secondo scenario, invece, poteva essere quello in cui la corte avrebbe accolto le ragioni della difesa, con la scarcerazione del giornalista e la sua eventuale ripartenza per l’Australia. Si è aperto invece un terzo scenario, quello di un nuovo appello. La prossima udienza si terrà nei prossimi mesi, in data da stabilire.

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