Dal 17 al 23 giugno, Survival International mobilita l’opinione pubblica con una settimana dedicata ai diritti dei popoli incontattati.
Chi era Berta Cáceres, l’attivista che lottava per gli indigeni dell’Honduras
Berta Càceres era una attivista ambientale che si è opposta alla realizzazione del complesso idroelettrico nell’Honduras Nord-occidentale. È stata assassinata la notte tra il 2 e il 3 marzo 2016.
Berta Cáceres era la leader del Consiglio delle organizzazioni popolari e indigene dell’Honduras (Copinh); da anni si batteva per difendere i diritti della sua comunità e per proteggere le terre ancestrali del suo Paese dalla deforestazione e dallo sfruttamento. La donna è stata uccisa nella notte tra il 2 e il 3 marzo 2016 a colpi di arma da fuoco, nella sua abitazione di La Esperanza, a circa 200 chilometri dalla capitale Tegucicalpa, gli aggressori avrebbero atteso che la Cáceres andasse a dormire per penetrare nell’appartamento e ucciderla.
La donna, proprio la sua strenua opposizione allo sfruttamento delle risorse e delle popolazioni locali, aveva già subìto numerose minacce di morte nel corso degli anni. Era considerata una figura scomoda anche dal governo honduregno che l’aveva accusata di terrorismo, arrestata e perseguitata giuridicamente.
La storia di Berta Càceres
Grazie alla sua determinazione e all’amore per la sua terra, Berta Cáceres era riuscita ad opporsi alla realizzazione del complesso idroelettrico Agua Zarca, previsto sul Rio Gualcarque, nell’Honduras Nord-occidentale. La diga avrebbe devastato l’ecosistema e compromesso l’esistenza della comunità di Rio Blanco, circa seicento famiglie che vivono nella foresta pluviale d’alta quota compresa fra i dipartimenti di Santa Barbara e Intibucà, dipendono infatti dal Rio Gualcarque per l’approvvigionamento di acqua. Lo sfruttamento del fiume, considerato sacro dalla cosmogonia Lenca, era stato autorizzato contravvenendo alla Convenzione del 1989 sul diritto all’autodeterminazione dei popoli indigeni.
Alla guida della comunità nativa la Cáceres ha dato vita ad una protesta pacifica durata oltre un anno, ostacolando l’accesso al cantiere e resistendo a sgomberi, aggressioni, arresti e soprusi. Al contempo aveva portato il caso alla ribalta internazionale, presentando ricorso all’International finance corporation (Ifc), ente finanziatore della Banca Mondiale, e portando il caso fino alla Commissione dei diritti umani, alla Corte europea di Strasburgo e anche in Vaticano.
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Il prezzo per la salvaguardia del fiume è stato però elevato per la comunità indigena, tre dei suoi membri sono infatti stati uccisi in circostanze mai chiarite. “Quando ho iniziato a combattere per il Rio Blanco, potevo sentire quello che il fiume aveva da dirmi. Sapevo che sarebbe stato difficile, ma sapevo anche che avrei trionfato. Me lo ha detto il fiume“, aveva dichiarato la militante.
Nel 2015 la donna era stata premiata per le sue battaglie sociali e ambientali con il Goldman Environmental Prize, la più alta onorificenza che dal 1990 premia gli attivisti di tutto il mondo che si dedicano alla salvaguardia dell’ambiente, mettendo spesso a repentaglio la propria vita. In passato Berta Càceres aveva più volte manifestato preoccupazione per il numero di attivisti ambientali uccisi, l’Honduras è, secondo la Ong Global Witness, il paese più pericoloso per gli ambientalisti. Dal 2010 al 2014 sarebbero infatti 101 le persone uccise, dando al paese centroamericano il più alto numero di omicidi ambientali pro capite.
Berta Càceres sapeva benissimo i rischi che correva, ha dovuto perfino far trasferire i figli in Argentina per ragioni di sicurezza, eppure ha deciso di non chinare la testa, ha deciso di fare la propria parte, guidata da un obbligo morale cui non poteva esimersi. “Dobbiamo intraprendere la lotta in tutte le parti del mondo, ovunque siamo, perché non abbiamo un pianeta di ricambio – ha affermato – abbiamo solo questo, e dobbiamo agire”.
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