Nella regione del Sahel, sconvolta da conflitti inter comunitari e dai gruppi jihadisti, 29 milioni di persone hanno bisogno di assistenza umanitaria.
Perché l’assedio di Kobane può stravolgere il Medio Oriente
Kobane (nota anche come Ayn al-Arab in arabo) è una città della Siria settentrionale che si trova al confine con la Turchia. Nelle ultime settimane, questo centro urbano di circa 50mila abitanti, per la maggior parte curdi, è al centro dell’attenzione internazionale perché è stato scelto dai miliziani dello Stato Islamico come obiettivo che potrebbe consentire
Kobane (nota anche come Ayn al-Arab in arabo) è una città della Siria settentrionale che si trova al confine con la Turchia. Nelle ultime settimane, questo centro urbano di circa 50mila abitanti, per la maggior parte curdi, è al centro dell’attenzione internazionale perché è stato scelto dai miliziani dello Stato Islamico come obiettivo che potrebbe consentire loro di prendere il controllo di un territorio molto vasto e ininterrotto lungo il confine turco.
L’assedio di Kobane, questa la definizione scelta dai mezzi d’informazione e dagli studiosi di strategie militari, va avanti da metà settembre e sembra essere giunto ora a un punto di svolta.
Lo Stato Islamico è riuscito a entrare a Kobane e controllarne alcuni quartieri. A contrastare l’avanzata, una coalizione improvvisata che mette insieme eserciti e gruppi che in condizioni “normali” sarebbero nemici.
Prima di tutto ci sono le forze armate siriane impegnate ormai da anni in una guerra civile per proteggere il governo di Bashar al Assad. Poi c’è il Partito dei lavoratori del Kurdistan, un movimento armato che si batte per dare una terra sovrana ai curdi. Infine c’è la coalizione internazionale messa in piedi dal presidente americano Barack Obama che sta dando supporto aereo (bombardando) ad hoc contro l’espansione territoriale dello Stato Islamico nella regione. A questi soggetti potrebbe presto aggiungersi la Turchia. Il presidente Recep Tayyip Erdogan ha dichiarato di voler fermare l’avanzata dei miliziani “a ogni costo” e di aver schierato militari lungo il confine con la Siria, pronti a intervenire via terra anche se l’esercito turco è in guerra con i curdi da decenni per la loro voglia di autonomia.
I combattimenti hanno già causato centinaia di morti e migliaia di feriti. A fare le spese di tutto ciò è la popolazione civile. I rifugiati sarebbero già 180mila e la maggior parte dovrebbe presto varcare la frontiera siriana per trovare rifugio in Turchia. Il governo di Ankara ha dato la sua disponibilità ad accogliere, ma ad alcune condizioni. Che i curdi rinuncino alle pretese autonomiste, interrompano qualsiasi azione che vada contro la sicurezza dei turchi, smettano di collaborare con il governo siriano per unirsi invece all’opposizione.
Lo Stato Islamico è stata definita la più grande minaccia per la pace e la sicurezza da molti governi, Stati Uniti inclusi. E forse è proprio così perché le conseguenze delle sue violenze e dei suoi atti di terrorismo vanno al di là del gesto. Lo Stato Islamico rischia di provocare sconvolgimenti nei rapporti tra paesi e di causare uno stravolgimento geopolitico come non si vedeva dai tempi della caduta del muro di Berlino.
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