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Alla ricerca di senso. Il ruolo dell’assistente spirituale nelle cure palliative
L’assistente spirituale è una figura laica che si occupa di riconoscere e accogliere i bisogni spirituali dei pazienti e delle loro famiglie, si prende cura e aiuta a coltivare la propria dimensione interiore nei momenti difficili, in particolare durante la malattia e nel fine vita.
L’assistente spirituale è una figura nuova nel panorama delle cure palliative. Di cosa si occupa in concreto? Quali sono gli obiettivi del suo lavoro? E come si diventa assistente spirituale? Ne parliamo con Caterina Giavotto, assistente spirituale di Vidas, organizzazione che si occupa di fornire assistenza sociosanitaria gratuita a malati inguaribili.
Chi è e di che cosa si occupa l’assistente spirituale
“Un assistente spirituale è una persona che si occupa di riconoscere e accogliere i bisogni spirituali di pazienti e famiglie per offrire loro un accompagnamento che tenga conto anche della dimensione interiore,” spiega Caterina Giavotto, assistente spirituale di Vidas. “Si occupa anche di aiutare i membri dell’équipe a riconoscere tali bisogni nei pazienti e in sé stessi. Può fornire supporto emotivo e aiutare le persone a coltivare la propria dimensione interiore nei momenti difficili, in particolare durante la malattia grave e nel fine vita, attraverso l’ascolto attivo, la meditazione e la visualizzazione. È importante specificare però che gli assistenti spirituali non sono né medici né psicologi e non offrono trattamenti medici né psicologici.”
Dunque è bene chiarire cosa si intende per “bisogno spirituale”, un concetto che rientra nel dolore globale di cui parlava già negli anni Sessanta Cicely Saunders, l’infermiera britannica che ha dato vita alla diffusione degli hospice, sottolineando l’importanza delle cure palliative nella medicina moderna.
Il dolore che investe una persona nel fine vita comprende infatti diverse dimensioni, quella fisica, quella psicologica, emotiva, sociale e – appunto – spirituale. “I bisogni spirituali fanno parte di quella ricerca di senso – senso della vita, della morte, della malattia – che tutti noi abbiamo dentro e che generalmente nel momento di difficoltà, non solo del fine vita ma anche della malattia, si manifesta in modo più prepotente”, spiega Caterina e precisa che “con il termine spirituali non intendiamo solo – e a volte addirittura per niente – un percorso collegato a una fede religiosa.”
Laicità e supporto alle esigenze religiose dei pazienti
L’assistente spirituale mantiene una rigorosa laicità di mandato e non cerca in alcun modo di imporre una specifica fede religiosa ai pazienti.
“Con spiritualità intendiamo la dimensione interiore propria di qualsiasi essere umano, collegata a quel sistema di valori che danno direzione alla nostra vita, per arrivare poi a una dimensione trascendente che solo a volte è collegata anche a una fede religiosa.”
Se il paziente che sta affrontando la fine della sua vita appartiene a una specifica religione, è importante rispettare e supportare le sue esigenze. “Se mi capitasse che una persona mi chiedesse contatto con un imam o con un rabbino, asseconderei immediatamente il suo volere. Generalmente, però, è più facile raccogliere questo tipo di richiesta da qualcuno di fede cattolica e cristiana, che chiede magari un consulto con il prete della propria parrocchia. Solitamente, infatti, le persone di fede islamica o ebraica hanno i loro riferimenti, riducendo significativamente i casi in cui hanno bisogno di me,” dice Caterina. “Ad ogni modo, ritengo che rivolgersi alla persona di riferimento della religione del paziente sia davvero una risorsa importante per l’elaborazione del proprio lutto e la ricerca di significato nella propria vita”.
Diventare assistente spirituale
Oltre al ruolo e agli obiettivi del suo lavoro, Caterina ha voluto condividere anche il percorso che l’ha portata a diventare assistente spirituale e aiutare chi non può più guarire.
“Sono diventata assistente spirituale in Vidas perché mi è stato chiesto e ho ritenuto fosse un grandissimo privilegio. Avevo alle spalle un percorso lungo 15 anni, come volontaria, durante i quali ho sperimentato in profondità la realtà del fine vita e il contatto con i pazienti – e un ancor più lungo percorso interiore, cominciato quando avevo appena 11 anni, grazie all’incontro con il buddhismo e i primi monaci tibetani arrivati in Italia negli anni Settanta.”
Ma la motivazione più importante deriva dalla sua vicenda personale: “La mia vita è stata segnata, e divisa in due, da una diagnosi di cancro, ricevuta dieci anni fa, e da una malattia che mi ha indotto a cambiare vita per dedicarmi a tempo pieno alla cura dei malati inguaribili.”
In questo frangente ha deciso di lasciare il suo vecchio lavoro nell’editoria e tornare a studiare. “Ho frequentato una scuola di alta formazione sull’Accompagnamento spirituale, un master universitario in Tanatologia e un secondo in Neuroscienze, mindfulness e pratiche contemplative e, infine, un corso di Accompagnamento empatico ai morenti.”
Dal 2022 Caterina è membro effettivo dell’équipe multidisciplinare di Vidas come assistente spirituale, la prima persona a ricoprire questo ruolo dalla fondazione dell’organizzazione nel 1982.
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