Nelle giornate tra il 12 e il 14 ottobre, si è verificato il momento di tensione più grave tra Israele e l’intera comunità internazionale, rappresentata dalle Nazioni Unite, dopo gli attacchi alle basi Unifil, ovvero la missione che opera nella zona cuscinetto del Libano meridionale che vede impegnati migliaia di soldati italiani. L’attacco plurimo ha causato il ferimento di cinque caschi blu (come vengono chiamati coloro che sono in forza al contingente delle Nazioni Unite per via del colore dei caschi e dei copricapi). La motivazione con cui Tel Aviv ha inizialmente giustificato gli attacchi è quella secondo la quale la missione internazionale agirebbe come “scudo umano” per Hezbollah, successivamente ha sostenuto che la missione ha fallito all’impedire a Hezbollah di insediarsi nel Libano meridionale fino a definirla inutile e chiederne l’immediato allontanamento dalla regione.
I 40 paesi che contribuiscono alla missione, tra cui l’Italia, hanno diramato un comunicato congiunto di condanna degli attacchi alla missione e hanno chiesto un’indagine sugli incidenti. A questa richiesta si è unita anche l’Unione europa, anche se con ritardo. Josep Borrell, Alto rappresentante dell’Unione europea per gli affari esteri e la politica di sicurezza, ha definito le azioni di Israele totalmente inaccettabili.
Gli attacchi deliberati di Israele alla missione di peacekeeping, cioè di mantenimento della pace, presente in territorio libanese possono configurarsi, non solo come una violazione del diritto internazionale e della risoluzione con cui si Unifil è stata creata, ma anche come un possibile crimine di guerra. Di questa opinione è il segretario generale della Nazioni Unite António Guterres. Nel comunicato stampa diffuso domenica 13 ottobre, il segretario Onu ha ribadito che il personale Unifil e i suoi locali non devono mai essere target di attacchi militari. Per Guterres, gli attacchi contro le forze di pace violano il diritto internazionale, compreso il diritto umanitario internazionale e possono costituire un crimine di guerra. Di questa opinione è anche Luigi Daniele, docente di diritto internazionale umanitario presso la Nottingham Law School della Nottingham Trent University, raggiunto da LifeGate per parlare dell’argomento.
Che cos’è Unifil, la missione Onu in Libano
Unifil (United Nations interim force in Lebanon) è una missione di peace-keeping di stanza in nelle regioni meridionali del Libano istituita con la risoluzione 1701 del Consiglio di sicurezza delle Nazioni Unite il 19 marzo 1978, dopo l’invasione israeliana del Libano. All’epoca Tel Aviv schierò le sue truppe al confine con il paese dei cedri, dopo che alcuni esponenti dell’Organizzazione per la liberazione della Palestina (Olp) erano entrati in Israele dal Libano, via mare.
L’obiettivo di Unifil era, ed è ancora oggi, quello di tracciare e far rispettare il confine tra i due Paesi che non è tuttora delineato da un accordo tra Beirut e Tel Aviv. Negli anni si è trasformata in una presenza stabile diventando una delle più longeve missioni di peacekeeping delle Nazioni Unite volta ad evitare eventuali escalation tra Libano e Israele.
Nel 2006, dopo una guerra durata 34 giorni tra Hezbollah e Israele, tenutasi in Libano, il mandato dell’Unifil è stato ampliato, anche grazie alla mediazione dell’allora ministro degli Esteri italiano Massimo D’Alema, per monitorare l’effettiva cessazione delle ostilità e sostenere le forze armate libanesi dispiegate in tutto il Libano meridionale.
Missioni di peacekeeping e diritto internazionale
Le missioni di peacekeeping, pur non rientrando nella fattispecie sancita nella Carta delle Nazioni Unite come misure implicanti l’uso della forza, negli anni sono diventate una prassi, al fine di mantenere la pace internazionale attraverso il dispiego dei caschi blu. Negli anni c’è stata un’evoluzione e un’estensione delle competenze delle operazioni di peacekeeping. In alcuni casi, infatti, oltre ad occuparsi del mantenimento del cessate il fuoco, alcune operazioni si sono estese alla sfera civile fornendo assistenza umanitaria, ma anche alla difesa della pace – in questo caso si parla di operazioni di peace enforcement – raggiunta anche con l’uso della forza militare. Le operazioni di peace enforcement attraverso i caschi blu sono, di fatto, eccezioni. E in questo caso le Nazioni Unite prediligono la delega ad organizzazioni regionali, come la Nato o altre organizzazioni con scopi militari.
Il recente attacco a Unifil da parte di Israele ha riaperto un tema già dibattuto nel 2018, quando diversi membri della missione Monusco nella Repubblica Democratica del Congo sono stati uccisi dall’attacco di alcune milizie. Anche all’epoca sia il Consiglio di sicurezza che il segretario generale avevano condannato gli attacchi deliberati contro le forze di pace delle Nazioni Unite, ribadendo che possono costituire crimini di guerra secondo il diritto internazionale. Come ricorda Daniele, “non è la prima volta che un Paese attacca missioni di peace-keeping, in molti casi erano Paesi lacerati da conflitti interni e non sono tutti rimasti impuniti. Proprio sul conflitto in Ruanda ed Ex-Jugoslavia si sono fondati i più importanti tribunali penali internazionali degli anni ‘90″.
La differenza, in questo caso, è che ad attaccare le postazioni della missione e i caschi blu non è stata una milizia, bensì un paese membro delle Nazioni Unite. Dopo il dispiego dei carri armati intorno alle postazioni della missione, l’esercito israeliano ha aperto il fuoco, come dichiarato dal portavoce della missione, l’italiano Andrea Tenenti: “I soldati israeliani hanno deliberatamente sparato contro le telecamere di sorveglianza perimetrale della missione a Naqoura, disabilitandole. Inoltre, l’esercito ha attaccato un’altra posizione delle Nazioni Unite, danneggiando i sistemi di illuminazione e una stazione di trasmissione utilizzata per le comunicazioni”.
È inammissibile che si continuino a commettere crimini e che ci sia una parte dell’opinione pubblica e della stampa che cerchi di trovare una giustificazione alla loro commissione.
Luigi Daniele, docente di diritto internazionale umanitario
Ad aggravare le accuse ci sono le dichiarazioni di Unifil che riporta il ferimento di alcuni caschi blu che hanno riportato escoriazioni sulla pelle e intossicazioni gastrointestinali, nonostante indossassero maschere antigas, in seguito all’attacco alla postazione di Ramyah di domenica 13 ottobre. Questo tipo di ferite fa pensare alla possibilità dell’uso di armi chimiche. Sarebbe la prima volta che l’esercito di un paese attacca una missione internazionale con armi chimiche. “Se fosse confermato si verificherebbe un doppio crimine di guerra: non solo l’attacco contro un obiettivo illegale e protetto, ma anche un attacco con un’arma il cui uso è proibito nelle zone in cui ci sono i civili e che può essere limitatamente utilizzata, ai sensi del diritto internazionale, solo per illuminare campi aperti di battaglia, in cui vi sia una presenza esclusiva di forze militari e non è questo il caso” ribadisce Daniele.
Possibili crimini di guerra contro Unifil
Sono diversi gli esperti e gli osservatori che sostengono la posizione per la quale attaccare una missione di peacekeeping sia un crimine di guerra. Oltre al già citato Guterres, anche Human Rights Watch nel suo ultimo report sostiene questa tesi, trovando base giuridica nello Statuto di Roma che istituisce la Corte penale internazionale.
Nel punto iii del secondo comma dell’articolo 8 dello Statuto si legge che il personale delle Nazioni Unite coinvolto nelle operazioni di mantenimento della pace, anche se armato, va considerato come civile e gli attacchi contro di loro e contro le loro strutture sono illegali ed equivalgono a crimini di guerra. Della stessa visione è Daniele che evidenzia che “il crimine di guerra in esame punisce l’attacco a missioni di peace-keeping e a missioni di assistenza umanitaria, ed è un anno che assistiamo a questo tipo di attacchi, è un anno che si spara sulle Nazioni Unite. Non si dimentichi che l’Unrwa, più volte colpita dall’esercito israeliano, è anch’essa un’agenzia delle Nazioni Unite.”
Sempre secondo Daniele, “la Corte Penale Internazionale dovrebbe e con tutta probabilità indagherà anche questo episodio, purché i giudici inizino a rispondere alle richieste del procuratore. È da cinque mesi che il procuratore della Corte Penale Internazionale ha richiesto mandati di arresto e per cinque mesi i giudici della Prima Camera Preliminare hanno autorizzato legal briefing sia di Stati che di gruppi, ma non le vittime palestinesi, e ancora omettono di autorizzare questi mandati, omissione che sta spingendo molti giuristi a parlare di un vero e proprio scandalo. Ad oggi non è dato sapere perché ci sia questo incredibile ritardo, nonostante la ripetizione di probabili crimini di guerra, e quindi la mancanza di mandati di arresti quasi come incoraggiamento a commetterli. La Corte Penale Internazionale e la sua legittimità sono davvero appese a un filo.”
Le Nazioni Unite e diversi Paesi, tra cui l’Italia, hanno ribadito che la missione Unifil continuerà ad operare nel Libano meridionale, nonostante le minacce e gli attacchi di Tel Aviv. Nell’audizione in Senato di giovedì 17 ottobre, il Ministre della Difesa Guido Crosetto ha ribadito che gli attacchi israeliani alla missione di peace-keeping “non sono incidenti, ma gravissime violazioni del diritto internazionale” e esplicitato la necessità di un rafforzamento della missione. Nell’intenzione del Governo c’è l’organizzazione di una conferenza in Italia per “rendere concreto il sostegno alle forze armate libanesi in termini finanziari, addestrativi e di equipaggiamento”, a dimostrazione che, nonostante il colore politico diverso, Roma ha intenzione di muoversi in continuità con le scelte del 2006.
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