Cop29

Giovani, indigeni, attivisti. Chi ha lottato per noi alla Cop 25

Come una sirena d’allarme, gli attivisti hanno portato la voce del mondo dentro la Cop 25 di Madrid. I risultati dai governi del mondo non sono arrivati, ma le loro grida e messaggi più forti che mai, anche per chi non c’era.

“Abbiamo cambiato il volto della Cop”. E non c’è cosa più vera. La voce delle persone, degli attivisti, dei popoli indigeni, dei giovani è entrata alla conferenza sul clima delle Nazioni Unite a Madrid come mai prima.

La loro presenza alla Cop 25 sarebbe potuta sembrare ovvia nel periodo storico in cui ci troviamo, caratterizzato dall’urgenza di agire contro la crisi climatica urlata dalla scienza e dalle persone di tutto il mondo, ma è proprio il contrario. Ognuno di loro ha lottato per essere lì dove i leader del mondo si sono incontrati per discutere il futuro – il loro, il nostro – guadagnandosi quella presenza che ha fatto percepire la conferenza sul clima, e i suoi risultati disastrosi, meno astratta e lontana.

C’è chi ha attraversato il mondo per esserci e far sentire la propria voce, chi ha viaggiato per giorni nella foresta, chi ha saltato scuola ed esami, chi ha rischiato di essere arrestato. Eppure, la volontà è stata più forte, con la consapevolezza che quella presenza era necessaria anche per chi non ha avuto lo stesso privilegio di esserci.

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Era una responsabilità, sia per portare la voce dei più colpiti dalla crisi climatica e di chi non la vive (ancora) sulla propria pelle, sia per ricordare ai rappresentanti politici dei paesi presenti il loro dovere. Ovvero, stabilire obiettivi ambiziosi e concreti per ridurre le emissioni di CO2 e limitare il riscaldamento della Terra, perché con l’impegno attuale la temperatura è destinata a crescere di oltre 3 gradi a fronte dei 1,5 necessari per evitare conseguenze disastrose. Ma quei numeri di differenza non sono solo cifre su cui trovare un accordo a tavolino: sono persone che muoiono, specie che si estinguono, ecosistemi che spariscono.

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Le proteste degli indigeni alla Cop 25 di Madrid, mercoledì 11 dicembre © Camilla Soldati/LifeGate

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Proprio per questo il loro grido, sotto forma di protesta, canzoni, urla, striscioni, è stato come una sirena d’allarme costante tra i muri delle conferenze, un reminder del ritardo e dell’inefficacia delle trattative. Tanto da risultare fastidiosa, al punto che durante alcune proteste fuori dalla plenaria i manifestanti sono stati fatti uscire dalla fiera e sono stati bloccati gli ingressi agli osservatori per tutta la giornata.


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Un grido costante e necessario

Ma quel fastidio è stato ed è necessario, perché urla non solo l’urgenza, ma anche la violenza, l’oppressione, i drammi a cui va incontro chi si batte ogni giorno per proteggere la Terra, che sono persone e comunità per cui la Cop 25 rappresentava la loro ultima possibilità.

E quindi sono accorsi da ogni angolo del mondo, dalla Russia siberiana dove chi sciopera per il clima viene arrestato, dall’Australia che sta soffocando nel fumo a causa degli incendi, dall’Amazzonia che viene sfruttata e le comunità indigene sfrattate, dal Cile che si sta ribellando alle violenze, dai Caraibi che come stato isola è tra i primi a subire le conseguenze dei cambiamenti climatici. Hanno portato le proprie storie che ci ricordano che tutti siamo coinvolti e che c’è chi, come loro, lotta anche per noi.

A Madrid abbiamo raccolto – e accolto – le loro voci, perché servano da megafono a tutto il mondo.

Tamara Toledo, Fridays for Future Chile
Tamara Toledo, un’attivista e portavoce di Fridays for Future Chile durante le proteste fuori dalla cop 25 a Madrid © Camilla Soldati/LifeGate
Per colpa dello sfruttamento oggi ci troviamo in un punto di non ritorno, dove il futuro è incerto e dove il suo grido non è mai stato ascoltato. Noi, nei paesi in via di sviluppo, viviamo questa segregazione ogni giorno. I nostri attivisti vengono uccisi. In Cile, per difendere la terra, vieni ucciso. E non permetteremo mai più una mancanza del genere per il nostro popolo. Siamo stanchi dell’inazione, della discriminazione dei nostri leader ci sentono e ci vedono, ma nonostante ciò, non fanno niente. Non c’è crimine più grande della passività.Tamara Toledo, Fridays for future Chile
Arshak Makichian, attivista di Fridays for Future Russia
Arshak Makichyan, attivista di Fridays for Future Russia © Camilla Soldati/LifeGate
Ci è voluto tempo per capire cosa fosse davvero la crisi climatica, perché non è facile recuperare le informazioni. È spaventoso protestare in Russia, non hai il permesso per organizzare gli scioperi. Ho iniziato a scioperare da solo tutte le settimane. Ma oggi non sono più da solo. Arshak Makichyan, Russia
Sasha Shugai, attivista russa, alla Cop 25
Sasha Shugai, un’attivista di Novosibirsk, nella Russia siberiana, alla Cop 25 a Madrid © Camilla Soldati/LifeGate
Uno dei problemi maggiori che abbiamo è il permafrost che si sta sciogliendo, così come sta succedendo più a nord con il ghiaccio artico. Poi quest’estate ci sono stati degli incendi devastanti, anche proprio vicino al paese in cui vivo. Qualcuno non vuole vedere quanto è grave, ma lo è. Sasha Shugai, Russia
Gli attivisti indigeni Jeffry Torres e Melixa Flaco alla Cop 25 di Madrid
Gli attivisti indigeni Jeffry Torres, dalla Costa Rica, e Melixa Flaco, da Panama, alla Cop 25 di Madrid © Camilla Soldati/LifeGate
Nelle nostre terre vediamo la siccità dei fiumi, che si stanno prosciugando. Sono dovuta venire io a Madrid perché il governo non ci ascolta e vogliamo che il mondo sappia di noi. Perché non è solo l’Amazzonia che sta sparendo, ma anche realtà con piccole riserve ma che comunque danno vita al mondo.Melixa Flaco, Panamà (grupo indígena emberà)
Se mettiamo insieme l’esperienza e la storia di ognuno di noi, viviamo tutti gli stessi problemi, con diversi livelli di danni causati dai cambiamenti climatici. Ma il vero problema è che quando vogliamo alzare la voce come giovani, non ci ascoltano. Fanno i sordi. Danno attenzione a cose per loro importanti, ma noi siamo qui per dire che anche noi siamo importanti. Anche noi siamo parte della soluzione. Cop dopo Cop, non succede niente. Ma ogni anno che passa nelle nostre comunità vediamo il deterioramento che avanza.Jeffrey Torres (cabecar indigenous), Costa Rica
Estefania McDermot, Caraibi
Estefania McDermot, attivista caraibica alla Cop 25 a Madrid © Camilla Soldati/LifeGate
Siamo stati isola, siamo i primi coinvolti nei cambiamenti climatici. Ma nei Caraibi solo pochi politici riconoscono l’urgenza dell’azione. Noi siamo il volto della crisi climatica. Sto saltando la scuola e rischiando la mia istruzione per essere qui. Ma sono qua perché conosco i rischi della mia popolazione. Cosa faremo quando le isole saranno sott’acqua? Estefania McDermot, Caraibi
Daisy Jeffrey, attivista australiana alla Cop 25 di Madrid
Daisy Jeffrey, attivista australiana alla Cop 25 di Madrid © Camilla Soldati/LifeGate
Vivo a Sidney e non avrei mai pensato che i cambiamenti climatici potessero colpire la mia città come il resto dell’Australia, ma al momento siamo ricoperti dal fumo, non possiamo vedere, respirare, uscire. C’è la cenere che cade dal cielo. Intorno alla città, sta bruciando tutto. Gli animali si stanno estinguendo, le persone stanno perdendo la casa e la vita, eppure i governi riconoscono che i cambiamenti climatici sono solo un fattore che avrebbero contribuito agli incendi. Questa è negazione e inazione.Daisy Jeffrey, Australia
Alexandria Villaseñor, attivista americana alla Cop 25 di Madrid
Alexandria Villaseñor, attivista americana alla Cop 25 di Madrid © Camilla Soldati/LifeGate
Questa è stata una delle Cop con il maggior coinvolgimento di giovani e attivisti. Siamo qui e stiamo creando disordini nel dibattito e mettendo pressione per le negoziazioni. Vogliamo fare sapere ai leader che noi ci siamo e che e li stiamo tenendo d’occhio. Per ricordargli costantemente di agire contro la crisi climatica.Alexandria Villaseñor, Stati Uniti
Hector Fabio Yukuna, indigeno dell'Amazzonia colombiana alla Cop 25 di Madrid
Hector Fabio Yukuna, indigeno dell’Amazzonia colombiana alla Cop 25 di Madrid © Camilla Soldati/LifeGate
Siamo costretti a lasciare le nostre terre indigene proprio perché siamo i più colpiti e vediamo tutti i problemi. Veniamo in un altro continente per dire: “Governi, stiamo morendo”. Ci sono stati cambiamenti nei nostri calendari ecologici  e questo significa i cambiamenti climatici ci stanno colpendo, il consumismo delle grandi imprese sta portando i rifiuti e la plastica nei nostri fiumi e nei nostri mari e questo sta facendo ammalare la nostra gente, le nostre comunità, sta avvelenando la nostra madre terra. È un messaggio della gioventù indigena per voi, un dialogo da governo a governo affinché noi popoli indigeni otteniamo lo spazio per discutere con voi di questi problemi legati al territorio e ai cambiamenti climatici.Hector Fabio Yucuna, Colombia
Vega Mansson, attivista svedese
Vega Mansson (sx), attivista svedese alla Cop 25 di Madrid © Camilla Soldati/LifeGate
Abbiamo avuto la possibilità di parlare in Parlamento, per dire le cose come stanno. Vogliono fare sembrare la cosa positiva, ma quando c’è da agire poi non lo fanno. Abbiamo avuto un grande impatto alla Cop 25, hanno bloccato gli osservatori, vuol dire che hanno paura di noi. Ma non penso questa Cop sia migliore delle altre del passato.Vega Mansson, Svezia
Vega Mansson, attivista svedese
Dylan Hamilton, attivista scozzese alla Cop 25 di Madrid © Camilla Soldati/LifeGate
I cambiamenti climatici hanno aumentato le precipitazioni del 67 per cento in Scozia. Viviamo sull’acqua e i livelli dei mari sono destinati ad aumentare e sommergere parte della capitale, Edimburgo, dove vivono persone che conosco. Non ci colpiranno come stanno già colpendo molte persone, siamo fortunati. Ma è una vergogna perché siamo noi a causare tutto ciò e siamo sempre noi quelli che probabilmente sopravvivranno.Dylan Hamilton, Scozia
Ianthe Minneart, attivista olandese alla Cop 25 a Madrid
Ianthe Minneart, attivista olandese alla Cop 25 a Madrid © Camilla Soldati/LifeGate
Vivo in Olanda, metà del nostro paese è sotto il livello del mare quindi se continuiamo sarà tutto allagato. Per ora stiamo bene, ma potrebbe coinvolgerci. Abbiamo bisogno di tutti, perché è un problema che riguarda non solo il futuro di noi giovani. Lo slogan della Cop 25 è “tempo dell’azione”, ma non stanno facendo niente, parlano e basta. Ianthe Minnaert, Olanda

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