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Australia: cosa si fa se il vino è a rischio
Secondo uno studio condotto dalla National Academy of Sciences degli Stati Uniti, entro il 2050 il 73 per cento della terra australiana finora utilizzata per la viticoltura sarà inadatta allo scopo. Le tradizionali regioni del vino, come la Barossa Valley, la Hunter Valley e la Margaret River stanno infatti diventando sempre più calde
Secondo uno studio condotto dalla National Academy of Sciences degli Stati Uniti, entro il 2050 il 73 per cento della terra australiana finora utilizzata per la viticoltura sarà inadatta allo scopo.
Le tradizionali regioni del vino, come la Barossa Valley, la Hunter Valley e la Margaret River stanno infatti diventando sempre più calde e asciutte a causa del riscaldamento globale: secondo le previsioni della Commonwealth Scientific and Industrial Research Organisation, le temperature subiranno un aumento compreso tra lo 0,3 e l’1,7 per cento già entro il 2030, intaccando così la qualità dell’uva, che si ridurrà – dicono i modelli – fino al 57 per cento.
In pratica, questo significa che i diversi vini australiani, tra qualche anno, avranno sapori e aromi completamente diversi, tanto da risultare irriconoscibili per gli intenditori. Può sembrare un’inezia, ma non lo è: attualmente il mercato vitivinicolo del Paese frutta ogni anno 5,7 miliardi dollari australiani (circa 5,3 miliardi dollari americani). Ecco perché molti produttori stanno cercando di correre ai ripari.
Poiché la Tasmania è una regione dal clima più fresco rispetto a quelle in cui si produce storicamente il vino, molti viticoltori stanno “migrando” verso quest’area per impiantarvi le proprie aziende e continuare a produrre vini di qualità.
Questo è uno dei motivi per cui, secondo il Tasmanian Climate Change Office le aziende vitivinicole della regione crescono a un tasso del 10 per cento annuo, mentre nel resto dell’Australia, tra 2009 e 2014, sono diminuite dell’1,9 per cento l’anno.
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