Mercoledì 29 settembre nella città australiana di Bloomsfield è in programma una cerimonia di importanza storica: la firma del trattato con cui gli aborigeni del Kuku Yalanji orientale riprenderanno ufficialmente possesso della foresta tropicale di Daintree, patrimonio dell’umanità Unesco.
La foresta tropicale di Daintree torna ai popoli nativi
I popoli nativi sono già custodi di alcuni veri e propri simboli dell’identità australiana. Nel 1985 agli aborigeni Anangu venne riconsegnato il parco nazionale di Uluru-Kata Tjuta dove si trovano le due omonime formazioni rocciose; la prima, nota anche con il nome di Ayers Rock, per loro è sacra. Sono loro ad amministrare insieme al governo anche il parco nazionale di Kakadu, il più grande del Paese, che si estende su 20mila chilometri quadrati (la metà della superficie della Svizzera).
Ora è il turno di Daintree, la foresta tropicale più antica del mondo con un’età stimata di 180 milioni di anni, dieci in più rispetto all’Amazzonia. Un paradiso di biodiversità che da solo custodisce l’80 per cento delle specie di felci esistenti sul Pianeta, 12mila specie di insetti e, inoltre, il 40 per cento delle specie di volatili e il 35 per cento di quelle di mammiferi che vivono in Australia.
L’accordo tra il governo del Queensland e gli aborigeni
D’ora in poi sarà il popolo indigeno del Kuku Yalanji orientale a gestire il parco nazionale di Daintree, così come quelli di Ngalba Bulal, Kalkajaka e delle Hope Islands, in collaborazione con il governo del Queensland. “Nelle zone umide tropicali, bama (“popolo” nell’idioma locale, ndr) ha sempre vissuto nella foresta pluviale. Di per sé, questa è una cosa piuttosto unica per i patrimoni dell’umanità”, dichiara Chrissy Grant, portavoce indigena e futura presidente dell’autorità incaricata della gestione dei tropici del Queensland. “È un’opportunità per farci strada”.
Australia’s Queensland state said it has passed ownership of the Daintree rainforest back to its Indigenous caretakers, the Eastern Kuku Yalanji people.https://t.co/8swwcQw6dK
Come precisa il quotidiano Guardian, si va così a ripianare una frattura che si era creata nel 1988. All’epoca il governo australiano, nel presentare la candidatura del luogo come patrimonio dell’umanità, non si era consultato con le tribù aborigene che lo abitavano da sempre. La loro cultura ancestrale non è quindi stata menzionata dall’Unesco tra gli elementi che motivano il riconoscimento.
Profilazione razziale, xenofobia nel dibattito politico e omofobia nel report dell’Ecri. Tra le sue richieste c’è quella di rendere indipendente l’Unar.
La “liana delle anime” è un decotto della medicina indigena dell’Amazzonia che può alterare lo stato psichico di chi la assume, e per questo affascina milioni di persone nel mondo.
Presente al corteo l’attivista svedese ha detto: “Non puoi dire di lottare per la giustizia climatica se si ignora la sofferenza dei popoli emarginati”.