La generazione rubata sono gli oltre 100mila indigeni sottratti alle loro famiglie, per assimilarli alla cultura dominante australiana. Oggi i superstiti verranno risarciti dallo stato.
L’Australia ha varato un pacchetto milionario per risarcire la cosiddetta generazione rubata, quei bambini aborigeni strappati dalle loro famiglie nel Novecento con fini assimilatori. Fino agli anni Settanta decine di migliaia di minori indigeni sono stati posti sotto il controllo dello stato, ufficialmente per salvarli dall’estinzione, in pratica per crescerli secondo le pratiche e gli stili di vita della civiltà occidentale. Un’operazione definita un genocidio, che ora comporterà un risarcimento di oltre 60mila dollari a testa, nell’ambito di un piano per ridurre le disparità sociali che tuttora subiscono le comunuità indigene australiane.
La generazione rubata
Quella dei bambini aborigeni sottratti ai loro genitori fino a Novecento inoltrato è una delle più grandi macchie della storia contemporanea australiana. Almeno in 100mila hanno subito questa sorte, oggetto di una politica assimilazionista da parte dello stato federale che li ha fatti crescere in appositi asili e istituti così che diventassero adulti “da bianchi”, secondo cioè gli standard occidentali. Una pratica profondamente razzista, fondata sulla credenza di una superiorità bianca e sull’idea dell’estinzione imminente dei popoli originari che in realtà è stata innescata proprio da queste pratiche statali.
A questi bambini è stato vietato di parlare la loro lingua tradizionale, gli sono stati cambiati i nomi, sono stati tagliati del tutto i legami con i genitori. Di fatto, un’opera di rimozione del loro passato, come un’onta da nascondere. Ma spesso la nuova vita, già di per sé traumatica, è stata accompagnata da violenze e abusi, tanto negli istituti di accoglienza quanto nelle famiglie ricche bianche che li hanno preso in affido, dove si sono ritrovati a essere sfruttati per i lavori domestici come sorta di schiavi.
Una storia che ha comportato un trauma collettivo tra queste persone che è tuttora esistente, con disturbi psicologici e tasso di suicidi molto alto all’interno della generazione rubata. Ma anche tra chi è rimasto nelle comunità originarie, questa operazione ha lasciato profondi strascichi, tanto affettivi quanto culturali, dal momento che, privati delle nuove generazioni, molti gruppi aborigeni non hanno più avuto nessuno a cui trasmettere i propri usi e costumi.
Le scuse dello stato australiano
Nel 1998 è stato istituto il Sorry day, giornata commemorativa delle sofferenze subite dalla generazione rubata. Nel 2008 l’allora premier Kevin Rudd si è per la prima volta scusato ufficialmente con le persone strappate alle loro famiglie durante il Novecento. Negli scorsi anni 800 indigeni a cui è toccata quella sorte hanno intrapreso un’offensiva giudiziaria contro lo stato per ottenere un risarcimento. Che ora è diventato realtà. Il primo ministro Scott Morrison ha annunciato che i bambini strappati alle loro famiglie, ormai adulti e in molti casi anziani (secondo le statistiche i sopravvissuti sono circa 33mila), riceveranno nei mesi a venire un pagamento di oltre 60mila dollari come forma di scuse e perché possano essere accompagnati nel percorso di supporto psicologico e migliore inserimento in società. “Quello che è successo è un capitolo vergognoso della nostra storia nazionale”, ha detto Morrison.
Questo piano di risarcimenti fa parte di un più ampio pacchetto da quasi un miliardo di dollari con cui lo stato australiano si prefigge di ridurre le disparità socio-economiche tra le comunità indigene e il resto della popolazione. I popoli originari hanno un tasso di mortalità infantile quattro volte superiore rispetto alla media del paese e l’aspettativa media di vita maschile è di dieci anni inferiore. Il tasso di suicidi è doppio e un terzo degli indigeni australiani mostra problemi di tipo psicologico. Meno del 50 per cento lavora, contro il 76 per cento del resto del paese. Il tasso di povertà tra i popoli aborigeni e gli indigeni di Torres Strait Island, quelli cioè a cui appartengono i bambini della generazione rubata, supera il 30 per cento.
È una condizione nel complesso molto precaria quella delle comunità indigene australiane. Un problema che da qualche anno è sempre più al centro delle politiche dello stato, impegnato a riparare i danni fatti nei decenni scorsi e a garantire tutela ai popoli originari. Qualcosa che abbiamo visto anche nei mesi scorsi, con un’attenzione particolare riservata nei loro confronti nell’ambito della lotta contro il Covid-19.
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