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Le fiamme, secondo una nuova ricerca, avrebbero incenerito più di un quinto delle foreste del Paese. Una percentuale che non ha precedenti.
La drammatica stagione degli incendi 2019-2020 in Australia rappresenterà, inevitabilmente, uno spartiacque. Ci sarà un prima e un dopo, e potrà essere eletta a cinereo simbolo della nuova epoca fatta di fumo e fiamme: il Pirocene.
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Gli sconfinati incendi scoppiati lo scorso ottobre, la maggior parte dei quali è ormai finalmente estinta, hanno ucciso oltre trenta persone, un numero incalcolabile di animali selvatici, causando probabilmente l’estinzione di alcune specie, e devastato enormi superfici di foreste.
Piante e fuoco convivono da milioni di anni e quest’ultimo, ha spiegato Giorgio Vacchiano, ricercatore in gestione e pianificazione forestale dell’università Statale di Milano, ha assunto il ruolo di “agente evolutivo”. Gli incendi che hanno colpito l’Australia sono stati tuttavia particolarmente estesi, intensi e prolungati e potrebbero avere un grave impatto a lungo termine sulla vegetazione.
Secondo una ricerca pubblicata su Nature climate change, le fiamme avrebbero finora distrutto il 21 per cento della copertura forestale australiana.
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Questa percentuale, secondo i ricercatori, non avrebbe precedenti a livello globale, almeno negli ultimi venti anni. Gli scienziati hanno esaminato le percentuali di superfici di foreste bruciate in ogni continente nelle stagioni degli incendi dal 2000 ad oggi.
La percentuale di foreste distrutte dalle fiamme in Australia è spaventosamente alta, sia se confrontata con la media nazionale, solitamente meno del 2 per cento delle foreste australiane viene bruciato ogni anno, che se paragonata con quella degli altri continenti, che si aggira su una media del 4-5 per cento. I ricercatori hanno inoltre precisato che l’attuale stima del 21 per cento è, probabilmente, destinata a crescere, dato che la stagione degli incendi non è ancora volta al termine e la Tasmania non è stata inclusa nel conteggio.
Matthias Boer, professore dell’università di Sidney e autore principale dello studio, ha evidenziato il ruolo dei cambiamenti climatici nell’eccezionalità di questa stagione degli incendi. “Non vi è alcun dubbio che le temperature record dell’anno passato non sarebbero state possibili senza influenza antropica. In uno scenario in cui le emissioni continuano a crescere, un anno del genere sarà nella media entro il 2040 e eccezionalmente freddo entro il 2060”.
“Mentre possiamo affermare con sicurezza che i cambiamenti climatici causati dall’uomo abbiano amplificato le ondate di caldo estreme che si sono verificate questa estate, la loro influenza sulla siccità e sugli incendi in Australia è molto più difficile da dimostrare e la variabilità del clima naturale gioca ruolo molto importante”, ha precisato Andrew King, docente di Scienze del clima dell’università di Melbourne, coautore di uno studio che esamina il ruolo della variabilità climatica e della siccità.
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I ricercatori dell’Università di Melbourne hanno studiato, in particolare, il dipolo dell’oceano Indiano (Iod), fenomeno che provoca l’innalzamento delle temperature della superficie del mare nella metà occidentale dell’oceano, e che influenza direttamente il livello di precipitazioni in Australia. La straordinaria siccità che da quasi tre anni colpisce diverse aree dell’Australia, e che ha acuito la gravità degli incendi, sarebbe legata, secondo i ricercatori, a una diminuzione della frequenza di questo tipo di eventi meteorologici a causa del riscaldamento degli oceani.
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