Mentre anche a ottobre le immatricolazioni auto calano, con l’elettrico fermo al 4%, l’offerta cresce, con modelli come Opel Grandland che offrono fino a 700 km di autonomia.
Auto nuove a benzina e diesel, anche l’Italia punta allo stop entro il 2035
Il nostro paese è pronto ad allinearsi all’Ue sulla fine della produzione di veicoli a benzina e diesel. Ma la partita è lunga e non mancano i distinguo.
Auto nuove a benzina e diesel, addio nel 2035. L’Italia si allinea ai più grandi paesi europei nel percorso verso la svolta verde del comparto automotive. O almeno ci prova, perché la proposta del Cite – il Comitato interministeriale per la transizione ecologica – potrà subire ulteriori modifiche nei confronti in programma con Bruxelles e con le associazioni di categoria. Senza dimenticare che, da un lato, l’ultima parola spetterà comunque al Parlamento; e che, dall’altro, non mancano i distinguo anche all’interno del Comitato stesso.
Le proposte del Cite sulle auto e benzina e diesel
In attesa degli sviluppi, i fatti. Lo scorso 10 dicembre, il ministero della Transizione ecologica ha reso noto che nella quarta riunione del Cite – al quale partecipano i ministri della Transizione ecologica Roberto Cingolani, delle Infrastrutture e Mobilità sostenibili Enrico Giovannini e dello Sviluppo economico Giancarlo Giorgetti – sono state definite “le tempistiche di sostituzione dei veicoli con motore a combustione interna, decidendo, in linea con la maggior parte dei paesi avanzati, che l’eliminazione graduale (phase out) delle automobili nuove con motore a combustione interna dovrà avvenire entro il 2035, mentre per i furgoni e i veicoli da trasporto commerciale leggeri entro il 2040”.
Il settore dei trasporti – responsabile nel 2019 del 32 per cento delle emissioni ad effetto serra, contro il 24 per cento dell’inizio del secolo – è tra quelli maggiormente coinvolti nell’ambito della strategia della Commissione europea, tesa a rendere l’Unione un’area ad impatto climatico zero; un progetto che riguarda la mobilità urbana e non urbana in vaste aree metropolitane, nonché il trasporto civile di passeggeri e merci. Un percorso rispetto al quale, ha evidenziato il Cite, “occorre mettere in campo tutte le soluzioni funzionali alla decarbonizzazione dei trasporti in una logica di neutralità tecnologica valorizzando, pertanto, non solo i veicoli elettrici ma anche le potenzialità dell’idrogeno, nonché riconoscendo, per la transizione, il ruolo imprescindibile dei biocarburanti, in cui l’Italia sta costruendo una filiera domestica all’avanguardia”.
I timori per la possibile perdita di migliaia di posti di lavoro
Nessun accenno alla tecnologia ibrida, una soluzione ritenuta fondamentale da diverse associazioni di categoria per scongiurare il rischio che la transizione ecologica si traduca in una grave crisi occupazionale. Non a caso l’Associazione nazionale filiera industria automobilistica ha commentato che la nota del Cite “ha sorpreso e messo in serio allarme le aziende della filiera produttiva automotive italiana e, probabilmente, anche tutti gli imprenditori e le decine di migliaia di lavoratori che rischiano il posto a causa di un’accelerazione troppo spinta verso l’elettrificazione”. A tracciare delle stime, pochi giorni prima, era stata l’Associazione europea della componentistica (Clepa): la messa al bando dei motori a combustione interna entro il 2035 in un paese, come l’Italia, manufatturiero e a forte vocazione automotive, potrebbe tradursi in una perdita di 67.000 posti di lavoro entro il 2030, destinati a salire fino a 73.000 nei dieci anni successivi.
Critico anche il presidente di Confidustria, Carlo Bonomi, per il quale “l’annuncio che è stato fatto sul phase out al 2035 da motori endotermici, senza aver spiegato quali sono gli impatti e le ricadute negative sul mondo del lavoro, vuol dire mettere a rischio centinaia di posti: non è questo il modo di fare politica sulla transizione energetica”. E molto dura è stata anche la reazione del sindacato Fim Cisl: “Abbiamo sempre sostenuto che la scelta verso i motori green deve essere accompagnata con altrettanta determinazione da una scelta di politica industriale, per consentire che la transizione sia sostenibile sul piano sociale. Questo nel nostro paese non sta avvenendo”. L’Italia, è bene ricordarlo, solo poche settimane fa alla Cop26 di Glasgow non ha firmato impegni sui veicoli a zero emissioni in ottica 2035. E persino per il ministro leghista Giancarlo Giorgetti, che pure partecipa al Cite, “è necessario un approccio meno tranchant al tema rispetto alle date e alla scelta dei combustibili. Noi siamo per un approccio più morbido e che tenga conto anche degli effetti della transizione”. La partita, in definitiva, si annuncia ancora lunga. E l’esito è tutt’altro che scontato.
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