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Auto senza pilota (umano) che corrono a 300 chilometri orari, l’incredibile evoluzione dell’auto autonoma
Con Sergio Savaresi del Politecnico di Milano ripercorriamo sviluppi e futuro dell’auto autonoma, un viaggio che conduce dritto nel prossimo decennio.
La notizia era apparsa a metà gennaio e ci aveva incuriosito: Politecnico di Milano vince Indy autonomous challenge a Las Vegas. In pratica, un’auto monoposto guidata da un pilota a intelligenza artificiale sviluppata dal team PoliMove del Politecnico di Milano ha vinto in un circuito del Nevada una competizione riservata ad auto da corsa a guida autonoma, ossia senza pilota. Parliamo di auto guidate da un software che, grazie ai sensori, ai supercomputer e ai sistemi Adas, permette alla vettura di guidare autonomamente.
Se il tema vi appassiona, vi anticipiamo che l’evento (molto istruttivo per capire il futuro della mobilità privata) si ripeterà il giugno prossimo, per la prima volta in Italia, sull’Autodromo di Monza, dove dal 16 al 18 giugno in occasione del MiMo, l’evento Milano Monza auto show. Così abbiamo colto l’occasione per fare un punto su presente e futuro della guida autonoma in questa intervista con Sergio Savaresi, professore del Politecnico di Milano e alla guida del gruppo di ricerca del mOve, che si occupa di controlli automatici in veicoli terrestri di ogni tipo, dalle biciclette elettriche alle automobili, fino ai trattori.
Di guida autonoma, o di auto autonoma, non si parla ancora molto. Eppure è il nostro futuro, l’unico possibile se immaginiamo città più vivibili, dove l’auto privata cederà progressivamente il posto ad auto autonome, che guidano da sole. Sembra un futuro lontano, eppure a Las Vegas è già successo…
Quella che si è disputata a Las Vegas è stata di fatto la prima gara di autonomous racing con tre caratteristiche molto importanti: auto completamente autonome, formula head to head quindi testa testa, ossia due auto che contemporaneamente cercano di sorpassarsi a vicenda, e ad alta velocità. Tre parametri che di fatto hanno fatto di Las Vegas quello che possiamo considerare il battesimo del cosiddetto autonomous motorsport. Si tratta di una competizione a cui partecipano diverse università del mondo e che vede sfidarsi in pista auto identiche fra loro, molto potenti, velocissime (oltre i 300 chilometri orari) e senza pilota. In realtà non è una gara fra auto autonome, piuttosto una competizione fra “piloti” creati dall’intelligenza artificiale, in grado di guidare le auto in maniera completamente autonoma. L’evento in programma sull’autodromo di Monza a giugno sarà la prima volta che questa competizione esce dagli Stati Uniti, un’occasione per avere una visione sul possibile futuro.
A proposito di visioni sul futuro, a cosa servono competizioni come queste? Un’auto che corre in pista a 300 chilometri orari e senza pilota non rischia di essere un esercizio un po’ astratto dalla realtà?
A molti, competizioni come l’autonomous racing possono sembrare semplicemente un evento ludico, per appassionati. In realtà l’obiettivo di queste competizioni non è quello di creare intrattenimento, piuttosto nasce come piattaforma di sviluppo e di test di nuove tecnologie portate al limite sui circuiti, in ambienti chiusi e protetti, dove è possibile derogare da tanti vincoli che spesso limitano le sperimentazioni e lo sviluppo di tecnologie destinate ad essere trasferite sulle auto di serie. In sintesi, questo genere di attività non serve tanto a migliorare la tecnologia dell’auto autonoma nelle situazioni già abbastanza esplorate, come la guida in città a bassa velocità, dove i problemi magari sono come riconosco il semaforo, il passante che attraversa e così via. Piuttosto è un’attività utile a sviluppare quella che io chiamo la seconda ondata di questa tecnologia, ossia quando le auto autonome cominceranno ad andare fuori dalle città, magari in contesti autostradali, dove ridurre gli spazi fra una macchina e l’altra significherà anche aumentare la capacità di transito di un’autostrada affollata, prevedendo anche le situazioni di emergenza. Ecco, soprattutto a questo servono competizioni come l’autonomous racing, una palestra di sviluppo per la guida autonoma e per la formazione degli ingegneri che possono così crescere rapidamente e acquisire tecnologie indispensabili per il futuro della mobilità autonoma.
Di auto che guidano da sole si parla (e si sogna) da anni, in molti ricorderanno il film Minority Report diretto da Steven Spielberg e interpretato da Tom Cruise. Da allora, l’intelligenza artificiale ha fatto enormi passi, come sono cambiati gli obiettivi?
La guida autonoma è nata molti anni fa con l’obiettivo di ridurre a zero gli incidenti stradali, partendo dal presupposto che statisticamente la guida autonoma è molto più efficace di un umano, e quindi commette meno errori, non si distrae, ha sempre sott’occhio tutto. Una visione, quella dello zero fatality, che nel corso degli ultimi anni si è trasformata completamente, non tanto abbandonando quell’obiettivo, ma dando all’auto autonoma una valenza e un impatto enormemente maggiore. Questo è un passaggio fondamentale per capire l’evoluzione dei mega trend legati alla mobilità. Facciamo un passettino indietro: sono tre i mega trend nel mondo dell’automotive che di fatto rivoluzioneranno il mondo della mobilità nei prossimi venti-trent’anni: al primo posto il passaggio dai combustibili fossili all’elettrificazione, che poi vuol dire anche idrogeno, poi quello dalla mobilità privata alla mobility as service, intesa come servizio, il terzo è la guida autonoma accompagnata dallo sviluppo dell’intelligenza artificiale e di un sistema di mobilità sempre più connessa.
Nella complessa (e affascinante) transizione che ci descrive, l’auto elettrica, tornata al centro del dibattito a causa del possibile stop ai motori endotermici al 2035, non sembra essere la rivoluzione che molti immaginano, cosa ne pensa?
Vero, e la ragione è abbastanza evidente: l’auto elettrica non si adatta per niente al concetto di auto privata, di per sé inefficiente, uno spreco di risorse. In Italia su 60 milioni di persone ci sono 40 milioni di automobili, in larghissima parte pochissimo utilizzate; quindi, di fatto sprechiamo ancora troppe risorse. L’auto elettrica porta all’estremo questa distonia. Mi spiego: se 500 chilometri di autonomia sono quello che oggi ci si aspetta da un’auto elettrica, il che è già realizzabile, significa dare a una batteria una vita utile di circa 700mila chilometri. Ma se si considera che mediamente le persone con la loro auto percorrono 10mila chilometri all’anno, vuol dire che stiamo comprando una risorsa costosissima, che è la batteria, ma ne useremo solo una minima parte della potenzialità e durata. Uno spreco inutile. E un utilizzo, quello privato, che richiede un’infrastruttura di ricarica molto distribuita e costosa da creare.
Ci sta dicendo che non è l’infrastruttura di ricarica il vero limite alla diffusione dell’auto elettrica?
Dico che l’auto elettrica, più che all’uso privato, si adatta molto meglio al concetto di flotta, di quella mobility as service già citata. Immaginiamo: se a Milano ci fosse una flotta di 5mila taxi pubblici elettrici al posto di 50mila auto private, sarebbe la soluzione perfetta perché i taxi fanno tanti chilometri; quindi, sfruttano tutta la potenzialità e la durata della batteria e il problema della ricarica sarebbe risolto usando le auto a rotazione e sfruttando la ricarica notturna. Insomma, la vera rivoluzione della mobilità non sta nell’auto elettrica, ma nell’auto autonoma, quella che io chiamo il catalizzatore, o il big bang di questa rivoluzione.
Le persone percepiscono l’auto autonoma, l’auto che guida da sola, come qualcosa di lontano, persino a volte come qualcosa di negativo, inquietante; eppure, dalle sue osservazioni sembra una rivoluzione “felice”, che va ben oltre le aspettative comuni, un passaggio epocale.
Sicuramente. Perché l’auto autonoma è quella che permette un balzo in avanti nella direzione della mobilità intesa come servizio. Un conto è il car sharing come è inteso oggi, un conto è immaginare il car sharing in uno scenario in cui le auto sono in grado di guidare da sole. Un car sharing in cui non è necessario cercare l’auto, ma è l’auto che va verso le persone. La tecnologia dell’auto autonoma è l’elemento decisivo di una transizione epocale, quella che segnerà il passaggio dalle auto private alle auto come servizio. Ovviamente andrà ridotto enormemente il numero delle auto in circolazione. E in questo passaggio la tecnologia dell’auto autonoma gioca un ruolo assolutamente strategico, che va ben oltre il concetto zero incidenti, ma diventa l’elemento abilitante di un’intera rivoluzione della mobilità.
L’anno scorso è stata autorizzata, per la prima volta in Italia, la sperimentazione di una flotta di navette a guida autonoma su strada a Torino, un progetto reso possibile solo grazie a una deroga temporanea alle norme vigenti. Ci saranno passaggi intermedi?
Nel mondo occidentale non c’è alternativa, si andrà necessariamente verso una ibridizzazione della mobilità. L’auto autonoma entrerà nelle nostre vite in maniera progressiva, inizialmente interagendo con le altre auto. Tutti stanno lavorando per rendere compatibile l’auto autonoma con gli altri agenti a guida umana, quello che realisticamente succederà è che progressivamente si assottiglierà il numero di auto private che circolano, perché progressivamente le persone dismetteranno l’auto di proprietà per passare a un concetto di mobilità come servizio.
Insomma, uomini e “robot” dovranno imparare a convivere a lungo, quanto tempo abbiamo per abituarci all’idea?
Sarà una rivoluzione, la diffusione dell’auto autonoma come servizio semplificherà il contesto del traffico, cambierà il volto delle nostre città. Sarà una rivoluzione progressiva. Sulla tempistica la verità è che nessuno ha una risposta certa, ci sono alcune ipotesi che dicono che già alla fine di questo decennio potremo vedere auto a guida autonoma nelle nostre strade. Verosimilmente penso di più al prossimo decennio. E visto che questa rivoluzione dipende anche dagli aspetti normativi, è probabile che paesi come la Cina, che non solo sta investendo sull’elettrico ma sta investendo sull’auto autonoma, possano avere la capacità politica di forzare i tempi. Determinante sarà l’aspetto normativo e politico.
La transizione elettrica sembra l’assoluta priorità, ma come si stanno preparando i costruttori d’auto ad affrontare la vera rivoluzione, ossia quando l’auto diventerà “solo” una commodity?
Mentre le case automobilistiche si stanno occupando molto dell’elettrificazione, che, come abbiamo visto, non è la vera e propria rivoluzione tecnologica della mobilità, in fondo è una tecnologia nota da cent’anni e che adesso va solo venduta e resa gestibile, la guida autonoma ha una complessità estremamente superiore. L’auto per come la conosciamo, con volante e ruote, e la tecnologia che tende a sostituire la funzione che oggi ha il guidatore, sono due cose molto diverse. Ed è proprio questo secondo aspetto, ossia la tecnologia, che non fa parte del dominio tecnologico delle case costruttrici di auto e che per questo sta sempre più passando nelle mani dei grandi colossi dell’elettronica di consumo. Questo aspetto sarà alla base di un’enorme rivoluzione nell’industria automotive, perché se l’automobile diventerà sempre più una commodity, immaginiamo un robotaxi, aspetti che oggi interessano l’utente privato diventeranno sempre meno rilevanti. Insomma, l’auto fatta di sensori, attuatori, computer e un’enorme quantità di algoritmi di controllo sarà sempre più appannaggio di nuovi player provenienti dalla cultura digitale.
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