Chi è Stefano Gregoretti
Non è semplice trovare un termine per esprimere chi è Stefano Gregoretti
Agronomo, atleta, ultrarunner sono parole che descrivono quello che fa, ma solo in parte. La parola più adatta sarebbe “esploratore”. Non si ritiene però un esploratore in senso classico – anche se si avventura in alcuni dei luoghi più remoti del Pianeta – perché “praticamente ogni angolo del mondo è già stato percorso”, sostiene.
Si definisce un endurance athlete, che significa che percorre distanze molto lunghe utilizzando solo la propulsione del suo corpo: in bici, di corsa o trainando una slitta, si muove sempre e solo con la forza delle sue gambe. Compie spedizioni in tutto il mondo, dalle terre gelate dell’Artico alle distese torride di deserti come quello del Namib e della Patagonia, a volte da solo e a volte con altri, sempre alla ricerca della conquista non solo del traguardo fisico ma anche dei suoi limiti. I suoi viaggi, dunque, sono soprattutto interiori, un’esplorazione di se stesso e delle sue risorse.
La sua fame di avventura non lo porta solo in terre lontane, ma a vivere con entusiasmo e curiosità anche il territorio italiano, dalla costa e la campagna del riccionese, dove è nato nel 1974 e tutt’ora vive, alla montagna, la sua grande passione. “Lo sport è sempre stato un mezzo per godermi la montagna”, racconta.
La spedizione Siberia 105°
Gregoretti insieme a Dino Lanzaretti stanno percorrendo in bicicletta la gelida strada di 1. 200 chilometri da Ojmjakon a Verchojansk, i due villaggi siberiani che si contendono il record del luogo abitato più freddo del mondo.
Nell’estate 2022 continueranno il viaggio in sup remando 750 chilometri lungo il fiume Yena da Verchojansk fino all’oceano Artico.
La tratta invernale sarà il viaggio in bici più freddo mai realizzato fino ad oggi e vedrà i due atleti cercare di sopravvivere in autonomia per quasi un mese a temperature che scenderanno anche sotto i -60°C.
L’estate successiva si cimenteranno nella prima navigazione dello sperduto fiume Yena in piedi su un sup da spedizione, ovviamente in autosufficienza e senza disturbare i tantissimi orsi che ne popolano le sponde. Un’avventura incredibile solo a pensarla, ma unica per raccontare le foreste che potremmo perdere per sempre.
Il loro scopo è quello di raccontare in prima persona lo sconvolgimento climatico di queste aree del pianeta che passano dalle temperature più fredde al caldo più insensato. Per essere i testimoni oculari del cambiamento nelle vite delle persone che in queste regione vivono raccontare la nostra avventura al limite della sopravvivenza. E LifeGate ospiterà il racconto di questa esperienza incredibile.
L’outdoor come scoperta
“Ho cominciato con il nuoto da piccolissimo perché avevo problemi di schiena ed era l’unica attività che potevo fare. Poi man mano ho aggiunto altri sport, come la corsa. Correvo spesso nei boschi casentini e volevo sapere di più su quegli alberi che avevo intorno – non solo che alberi fossero ma come funzionavano anche a livello biomolecolare”. In parallelo al percorso di atleta, la sua sete di conoscenza lo ha condotto alla professione di agronomo. Due mondi che, in Gregoretti, si fondono in modo simbiotico.
Ad esempio, è anche grazie alla sua conoscenza degli alberi che è stato in grado di compiere la prima traversata in autosufficienza della penisola artica della Kamchatka in Russia – in pieno inverno – insieme al compagno di molte avventure, il canadese Ray Zahab. Invece di portarsi 40 chili di gasolio per cucinare e scaldarsi, è stato sufficiente trasportare una leggera stufa a legna e affidarsi alle risorse del territorio per avanzare oltre 500 chilometri in temperature fino a 40 gradi sottozero. “L’osservazione degli alberi guidava la scelta di dove mettere il campo”, spiega Gregoretti.
“Per questo mi alleno, per essere al massimo delle condizioni nell’affrontare questo tipo di situazioni”, aggiunge. “Ci vogliono circa dodici mesi di preparazione per una spedizione. Posso anche arrivare a correre fino a 250 chilometri in una settimana. Ma l’allenamento che faccio è sempre mirato, dipende dal mio obiettivo, e comunque è sempre stato un mezzo e non un fine, eccetto quando mi sono dedicato al massimo al triathlon”.
Gregoretti, infatti, è stato anche un triatleta prima e un trail runner poi impegnato in gare come l’Iron Man – che prevede 3,8 chilometri di nuoto, 180 di bici e 42 di corsa – e raggiungendo traguardi importanti come il primo posto nella Yukon Artic Ultra, 160 chilometri nel gelo invernale del nord del Canada, nel 2013 e un altro oro nella Gobi March, 250 chilometri nel deserto del Gobi in Cina, lo stesso anno. Durante una delle tante gare nel deserto ha incontrato Zahab, con cui Gregoretti ha fondato l’associazione impossible2Possible che utilizza l’avventura come mezzo per educare e ispirare i giovani, portandoli a vivere esperienze che li incoraggiano ad andare oltre i propri limiti percepiti.
In seguito all’incontro con l’amico canadese e con il mondo delle spedizioni, il rapporto con l’agonismo è cambiato. “Non c’era più la fame di gara, girare così in tondo guardando l’orologio non mi piaceva più”, spiega Gregoretti. La voglia, da lì in poi, è stata sempre e solo di avventura.