Come costruire un nuovo multilateralismo climatico? Secondo Mark Watts, alla guida di C40, la risposta è nelle città e nel loro modo di far rete.
Clima, foreste e acqua. Quante sono le aziende che fanno sul serio, secondo Cdp
Le aziende europee misurano le loro emissioni e fissano obiettivi chiari per il futuro, o si limitano a vaghe promesse? I numeri in un nuovo report di Cdp.
Soprattutto da quando l’amministrazione statunitense guidata da Donald Trump ha smantellato gran parte delle politiche ambientali volute da Barack Obama, l’Europa è ritenuta la capofila del movimento per salvare il clima, le foreste e le risorse idriche. Non sorprende dunque il fatto che nel Vecchio Continente abbiano sede molte delle aziende più all’avanguardia su questi fronti. Spesso però ci si focalizza sulle “prime della classe”, quasi dimenticando che l’universo imprenditoriale è molto più vasto. È possibile disegnarne una mappa completa e veritiera, distinguendo le aziende che hanno fissato obiettivi chiari sulla tutela delle risorse del Pianeta da quelle che, al contrario, sono ferme a qualche vaga dichiarazione d’intenti? A raccogliere questa sfida è Cdp (nota in precedenza come Carbon disclosure project), un’organizzazione che ha interpellato centinaia di aziende europee, pubblicando i risultati nel suo report 2018.
80% of European companies identify opportunities in taking climate action, yet many are failing to set absolute emissions targets, and this oversight is costing them billions… Find out more in our latest report https://t.co/gzgH1MULrA pic.twitter.com/yiZG3Rw4XG
— CDP (@CDP) 19 febbraio 2019
Evitato l’equivalente delle emissioni dell’Austria
Nell’anno appena trascorso, 849 grandi aziende provenienti da 23 diversi paesi europei hanno pubblicato informative ad hoc sui cambiamenti climatici. In questo gruppo ci sono 82 grandi società private, che complessivamente incassano più di 614 miliardi di dollari; tutte le altre sono società quotate, che rappresentano i tre quarti della capitalizzazione di mercato del Vecchio Continente, e rispondono così alle richieste di trasparenza avanzate dai loro stessi investitori.
I dati ci rivelano che queste società complessivamente immettono nell’atmosfera l’equivalente di 2.341 milioni di tonnellate di CO2 l’anno, più di Germania, Regno Unito e Francia messi insieme. Questa è la somma di due insiemi diversi: il cosiddetto “scope 1”, cioè le emissioni prodotte direttamente dalle sedi dell’azienda, e lo “scope 2”, cioè le emissioni dovute all’energia che viene acquistata.
La buona notizia è che il 58 per cento delle aziende rendiconta un calo delle emissioni rispetto all’anno precedente. Mettendo insieme tutte le emissioni evitate si arriva a un totale di 85 milioni di tonnellate di CO2, più di quelle che l’Austria emette in un anno. Ma c’è anche da dire che, per un’azienda su tre, le emissioni sono aumentate; solitamente questo è dovuto all’incremento dei volumi di produzione oppure all’acquisizione di altre società. Un’azienda su dieci si è impegnata a diventare carbon neutral o addirittura carbon positive.
Se è vero che sui gas serra circolano dati molto dettagliati, c’è molta meno trasparenza in materia di deforestazione (solo 83 aziende hanno pubblicato informazioni in merito) e sicurezza idrica (183 aziende).
With stakeholders increasingly concerned about the impacts of climate change on companies, it’s clear that good business leaders are taking climate action seriously. https://t.co/gzgH1MULrA pic.twitter.com/YBt7pgS2Ik
— CDP (@CDP) 23 febbraio 2019
La sostenibilità entra nel consiglio di amministrazione (e nei bonus)
Quel che è certo è che la sostenibilità ormai è un tema entrato di diritto nell’agenda dei consigli di amministrazione: il 95 per cento dei Cda delle aziende intervistate ha attivato dei sistemi di supervisione sul tema del clima, l’88 per cento sul tema delle foreste e il 90 per cento sul tema dell’acqua. Ma c’è una bella differenza – sottolinea Cdp – tra parlare di un argomento e incorporarlo nelle decisioni strategiche.
La Task force on climate related financial disclosures, per esempio, da anni cerca di educare all’idea che i cambiamenti climatici siano un rischio finanziario e ha pubblicato delle vere e proprie linee guida su come monitorare il loro impatto potenziale sul proprio modello di business. Otto aziende su dieci già ha imboccato questa strada, e il 39 per cento utilizza i metodi di calcolo più avanzati, che prevedono di mettere a punto diversi scenari. Soltanto 44 aziende però stanno applicando in toto le linee guida della Tfcd. E spesso – sottolinea anche il Guardian – l’orizzonte temporale è un po’ troppo limitato: per il 69 per cento degli intervistati, un obiettivo a “medio termine” va fissato per il 2025, tra appena sei anni. Insomma, serve una visione un po’ più strategica. Per incoraggiarla, il 47 per cento delle aziende assegna incentivi finanziari ai manager che si occupano di questioni legati al clima.
Foto in apertura © Diana Parkhouse / Unsplash
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