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Bajau Laut: gli ultimi nomadi marini in un incredibile reportage del Wwf
I Bajau Laut sono un popolo indigeno che abita le acque del Triangolo dei Coralli, un’area situata tra Indonesia, Malesia e Filippine che è considerata l’epicentro della biodiversità marina mondiale. I Bajau Laut sono “nomadi marini”, vivono tradizionalmente in barche chiamate lepa lepa, e raggiungono la terraferma solo per seppellire i defunti e costruire nuove
I Bajau Laut sono un popolo indigeno che abita le acque del Triangolo dei Coralli, un’area situata tra Indonesia, Malesia e Filippine che è considerata l’epicentro della biodiversità marina mondiale. I Bajau Laut sono “nomadi marini”, vivono tradizionalmente in barche chiamate lepa lepa, e raggiungono la terraferma solo per seppellire i defunti e costruire nuove barche. Le loro ottime capacità di pesca usando solo reti e fili sono risapute, così come la loro abilità di immersione che gli permette di raggiungere decine di metri sott’acqua. Il fotografo James Morgan ha immortalato i nomadi del mare per il Wwf, impegnato nella protezione dei loro oceani con il programma Coral Triangle Programme.
Come è cambiata la vita dei Bajau Laut
Negli ultimi decenni la vita dei Bajau Laut è cambiata radicalmente. Infatti, solo pochi membri del gruppo etnico vivono tuttora sulle barche. Molti di loro hanno lasciato il mare per trasferirsi sulla terraferma o su case a palafitta, spinti anche dal governo. Le loro tradizionali imbarcazioni artigianali, lepa lepa, stanno scomparendo, in quanto sostituite dalla produzione di massa di barche. Anche le tecniche di pesca tradizionali sembrano essere minacciate, soprattutto dall’aumento di metodi distruttivi come la pesca con esplosivi, bombe fabbricate con fertilizzanti, e l’uso del cianuro di potassio, sostanza altamente tossica. Queste tecniche, sebbene pericolose, permettono di ottenere un maggiore rendimento, rendendoli così più adatti a soddisfare la domanda insostenibile di pesce per l’esportazione.
L’impatto delle nuove tecniche di pesca sull’Amazzonia dei mari
Tuttavia, queste pratiche rappresentano pericoli fisici per i pescatori stessi, oltre a causare notevoli danni agli ecosistemi marini del Triangolo dei Coralli, conosciuto anche come “l’Amazzonia dei mari” per la sua ricchezza unica di biodiversità. L’area che copre 6 milioni di chilometri quadrati è dimora di 120 milioni di persone e ospita il 76 per cento delle specie di corallo esistenti, aggiudicandosi il primato per la maggiore diversità di corallo al mondo. Inoltre, assicura la più ampia diversità di pesci della barriera corallina: ospita infatti il 37 per cento delle specie esistenti, l’8 per cento delle quali sono endemiche. Queste acque vantano anche la presenza di 6 specie di tartaruga marina delle 7 esistenti a livello globale.
Cresce la domanda di pesce e diminuisce la biodiversità
Le tecniche di pesca distruttiva sono principalmente correlate alla domanda sempre più alta di pesce di barriera corallina vivo, soprattutto in Cina, attività che vale circa un miliardo di dollari. Un ulteriore problema è, quindi, la drastica riduzione di popolazioni di pesce di barriera corallina, in quanto quasi il 5 per cento degli esemplari viene catturato prima che abbia avuto la possibilità di riprodursi. Le acque di quest’area e i mezzi di sostentamento degli abitanti vengono gravemente danneggiati proprio a causa del commercio di pesce vivo, con effetti disastrosi nel lungo termine.
Tornare in armonia con gli spiriti del mare
Per promuovere e supportare una pesca sostenibile sono necessari interventi decisivi. Secondo James Morgan, i Bajau Laut sono i guardiani della più antica e profonda conoscenza dei loro oceani, e per questo sono la vera chiave per proteggere le acque del Triangolo dei Cristalli. La cosmologia Bajau tradizionale è un sincretismo di animismo e Islam: una visione in cui l’oceano è un’entità vivente e completa. Di conseguenza, tutti i suoi componenti – pesce, barriera corallina, correnti e maree – sono dimora di spiriti. La crescente “fame di pesce” del mondo sta distruggendo la diversità e la vitalità di questi spiriti, esattamente come lo stile di vita indigeno degli “ultimi nomadi del mare”.
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