La Cedu ha dato il via libera a quello che sarà il primo procedimento legato ai cambiamenti climatici. Sei bambini hanno denunciato 33 Stati per violazione dei diritti umani.
Potrebbe essere il primo caso giudiziario di portata internazionale che riguarda la crisi climatica. La Corte europea dei diritti umani ha infatti dato il via libera al procedimento presentato da sei giovani attivisti portoghesi ormai 2 anni fa, relativo alla presunta inadempienza dei 27 paesi dell’Unione europea, con Norvegia, Russia, Svizzera, Regno Unito, Turchia e Ucraina, sugli impegni assunti per contrastare i cambiamenti climatici. La Corte ha infatti concesso la priorità alla denuncia sulla base dell'”importanza e urgenza delle questioni sollevate”, il che dà l’inizio di fatto alla fase processuale. La causa è incentrata sulla crescente minaccia che il cambiamento climatico pone alle vite e al benessere fisico e mentale dei ragazzi che hanno presentato l’esposto.
NEWS: The European Court of Human Rights just announced it is fast-tracking a climate case brought by 6 Portuguese youth facing spiralling heat extremes. They filed their case with GLAN’s support against 33 European States. Now all 33 States are required to respond.
“Poiché la stragrande maggioranza dei casi depositati presso la corte di Strasburgo non riesce a raggiungere questo stadio, questa decisione segna un passo importante verso una possibile sentenza fondamentale che riguarda il cambiamento climatico”, scrivono gli avvocati che stanno rappresentando i giovani attivisti.
La storia degli attivisti che hanno denunciato i 33 paesi
Tutto inizia nell’estate del 2017, quando devastanti incendi colpiscono la regione della Leira in Portogallo come mai era accaduto prima. A quel punto Catarina (20 anni), Cláudia (21), Martim (17), Mariana (8), Sofia (15) e André (12) lanciano una campagna di crowfunding per coprire i costi legali della causa e finanziare una campagna di sensibilizzazione volta ad assicurare alla causa stessa un vasto impatto mediatico. Seguiti dal Global legal action network (Glan), i sei giovani depositano la denuncia, che viene archiviata lo scorso 3 settembre, dopo che in Portogallo si registra il luglio più caldo degli ultimi novant’anni.
“Mi dà molta speranza sapere che i giudici della Corte europea dei diritti dell’uomo riconoscano l’urgenza del nostro caso”, ha detto André Oliveira in una nota. Il ragazzo, in un elenco di domande inviate dalla Corte alle parti, chiede se i diritti dei giovani richiedenti siano stati violati, ai sensi dell’articolo 3 della Convenzione europea dei diritti dell’uomo, che afferma: “Nessuno può essere sottoposto a tortura o a trattamenti o punizioni inumani o degradanti”. Ciò significa che la Corte ritiene che gli impatti dei cambiamenti climatici cui devono far fronte i giovani portoghesi (e non solo) siano così gravi da violare i loro diritti.
Cosa farà ora la Corte europea dei diritti dell’uomo
Il caso si concentra sul contributo degli Stati alle emissioni globali all’interno e all’esterno dei propri confini. Per quanto riguarda le emissioni rilasciate in patria, la parte denuncia che gli sforzi di riduzione dei governi europei siano troppo deboli e non in linea con quanto richiesto dalla scienza. Per quanto riguarda le emissioni rilasciate al di fuori dei propri confini, si sostiene che i paesi coinvolti debbano assumersi la responsabilità delle emissioni relative ai combustibili fossili che esportano, alla produzione di beni che importano dall’estero e alle attività estere delle multinazionali con sede nel loro giurisdizioni.
A questo punto tutti e 33 i paesi sono ora tenuti a rispondere al caso entro la fine di febbraio, a meno che non venga raggiunto una sorta di “accordo” tra le parti. I giovani attivisti, i loro avvocati e i loro esperti dovranno successivamente rispondere alla difesa. In caso di successo, i paesi sarebbero legalmente vincolati, non solo a incrementare il taglio delle emissioni, ma anche ad affrontare l’esternalizzazione delle emissioni all’estero, comprese quelle delle multinazionali che hanno la loro sede all’interno dei confini nazionali.
“Non è esagerato affermare – ha detto al Guardian, Marc Willers QC – che questo potrebbe essere il caso più importante mai trattato dalla Corte europea dei diritti umani”.
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