
Il ritratto di un bambino mutilato a causa dei bombardamenti israeliani a Gaza ha vinto il World press photo 2025, il concorso fotografico che da 70 anni documenta le complessità del presente.
di Martina Mandolesi specializzanda in pediatria di Idea onlus in missione a Kalongo per la Fondazione Ambrosoli Ogni anno nel mondo più di 15 milioni di bambini nascono troppo presto. Più di un bambino su dieci. L’Organizzazione mondiale della sanità (Oms) definisce pretermine, o prematuro, il bambino nato prima della 37esima settimana di gestazione. Ad oggi
Ogni anno nel mondo più di 15 milioni di bambini nascono troppo presto. Più di un bambino su dieci. L’Organizzazione mondiale della sanità (Oms) definisce pretermine, o prematuro, il bambino nato prima della 37esima settimana di gestazione. Ad oggi la prematurità rappresenta la prima causa di morte sotto i 5 anni di età.
Purtroppo le differenze tra il nord e il sud del mondo in termini di sopravvivenza rimangono importanti. Nove degli undici paesi con un tasso di parti prematuri superiore al 15 per cento si trovano nell’Africa subsahariana. Nelle aree a basse risorse, come l’Uganda, più della metà dei bambini nati prima del termine muore per mancanza di adeguata assistenza.
A parte le gravi patologie che possono colpire i bambini prematuri, questi necessitano di cure di base semplici ma vitali: essere scaldati, essere nutriti adeguatamente, essere protetti dalle infezioni. Garantire questa semplice assistenza significa salvare la vita a migliaia di bambini ogni giorno.
Molto spesso queste condizioni non sono garantite neppure all’interno degli ospedali, specie in quelli rurali. Ogni struttura sanitaria dovrebbe assicurare innanzitutto l’assistenza al neonato, oltre ad un livello di assistenza medica adeguato.
Pratiche a basso costo come la tecnica canguro, che prevede il contatto pelle a pelle tra madre e neonato, o la prevenzione delle infezioni attraverso accurate misure igieniche e l’utilizzo di antibiotici, garantirebbero a molti neonati prematuri di sopravvivere anche in questi contesti.
In tal senso, di fondamentale importanza è la formazione di personale dedicato alla cura del neonato, in grado di assicurare assistenza adeguata ai bambini e la formazione delle madri. Il ritorno a casa dopo il parto, in ambienti spesso sovraffollati, umidi, con scarse misure igieniche e l’utilizzo di acqua non potabile rappresentano un importante fattore di rischio per questi piccoli pazienti, che di frequente tornano in ospedale a qualche giorno dalla dimissione con gravi infezioni, spesso fatali.
Informare e istruire le madri sulle appropriate modalità di accudimento del neonato (per esempio, il semplice utilizzo di pannolini di stoffa o di acqua pulita), sui segnali di allarme che rendono necessaria una rivalutazione del bambino da parte di personale sanitario, rappresenta l’obiettivo prioritario da raggiungere per ridurre la mortalità neonatale anche in questi paesi.
A Kalongo stanno già arrivando le prime pioggie: le donne zappano i campi, accudiscono famiglie numerose, trasportano legna e taniche d’acqua. Tutte le donne, anche quelle in gravidanza. Ed i parti prematuri, inevitabilmente, aumentano.
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