L’Alta corte di Dacca, in Bangladesh, ha assunto nella giornata di domenica 25 febbraio una decisione storica. I giudici hanno infatti imposto il divieto di “adozione” di elefanti selvatici: una scelta accolta con sollievo dalle associazioni che si battono per i diritti degli animali, che la considerano una svolta. Concretamente, non saranno di fatto più concessi permessi per far crescere gli elefanti in cattività, come confermato all’agenzia Afp dal vice-procuratore generale della corte bengalese, Amit Das Gupta.
Bracconaggio e distruzione degli habitat hanno decimato gli elefanti
Secondo i dati dell’Unione internazionale per la conservazione della natura (Uicn), nella nazione asiatica sono quasi cento gli elefanti tenuti in cattività, contro circa duecento lasciati liberi. Ciò mentre, un tempo, lo stesso Bangladesh rappresentava una delle nazioni con più esemplari in tutto il continente.
A far precipitare il totale degli elefanti è stato soprattutto il fenomeno del bracconaggio, al quale si è aggiunta la progressiva antropizzazione, con conseguente distruzione, dei loro habitat naturali. Soprattutto per far posto allo sfruttamento forestale e agricolo. Così, ad essere catturati non sono stati soltanto esemplari adulti ma anche molti cuccioli. Un problema che non riguarda unicamente il Bangladesh: per questo la specie è ormai minacciata in tutta l’Asia meridionale.
Spesso adottati metodi brutali di addestramento
Alcuni animali sono stati anche utilizzati a scopi ludici, come nel caso di quelli concessi a compagnie circensi. E altri sono stati sfruttati da gruppi industriali per trasportare tronchi di alberi.
Per farlo, a volte venivano utilizzati metodi di addestramento considerati brutali dalle associazioni: si tratta di pratiche note con il nome “hadani”, che prevede tra le altre cose la separazione dei cuccioli dalle madri, mesi passati incatenati e torture al fine di imporre l’apprendimento.
Un pomeriggio di confronto sui temi della biodiversità in occasione della presentazione del primo Bilancio di sostenibilità territoriale della Sardegna.
Diversi studi hanno rivalutato, nel corso degli anni, il valore delle vespe per la salute umana, grazie al loro contributo per un’agricoltura meno chimica.