Finora sono morte almeno sette persone. Le forze di polizia stanno investigando per capire se gli incendi siano dolosi e hanno arrestato sette persone.
Barriera corallina e Reef 2050 plan: i 5 no di Greenpeace
C’è ancora una mobilitazione contro il Reef 2050 plan, il piano australiano da 40 milioni di dollari per salvare dagli effetti dei cambiamenti climatici la Grande barriera corallina, presentato qualche giorno fa dal Primo ministro australiano Tony Abbott. La biodiversità del sito Unesco è a forte rischio, a causa dell’acidificazione degli oceani che minaccia
C’è ancora una mobilitazione contro il Reef 2050 plan, il piano australiano da 40 milioni di dollari per salvare dagli effetti dei cambiamenti climatici la Grande barriera corallina, presentato qualche giorno fa dal Primo ministro australiano Tony Abbott.
La biodiversità del sito Unesco è a forte rischio, a causa dell’acidificazione degli oceani che minaccia i coralli, la pesca intensiva, le miniere di carbone. E malgrado gli sforzi del precedente governo laburista, che aveva disposto nel 2012 la creazione di una riserva marina di 2,3 milioni di chilometri quadrati di oceano, la barriera continua ad essere in pericolo per gli interventi dell’attuale governo conservatore, che ha per esempio ingrandito il porto carbonifero di Abbott Point.
Il nuovo piano, con gli obiettivi di tutela al 2050, è stato stilato congiuntamente dal governo australiano e dal governo dello stato di Queensland. La denuncia di inefficienza, stavolta, arriva dall’associazione ambientaliste Greenpeace, che in cinque punti spiega quali siano i pericoli che correrà la barriera dopo l’approvazione del Reef 2050 plan.
1- La somma tra fenomeni di origine naturale e attività umane – come le estrazioni minerarie, l’agricoltura, le attività portuali, i trasporti, il turismo, la pesca, la crescita urbana e lo sviluppo industriale – ha portato negli ultimi ventisette anni alla scomparsa di oltre il 50 per cento della copertura di coralli e al deterioramento di 24 dei 41 “indicatori di qualità” relativi allo stato di salute della barriera.
Foto: © Greenpeace
2- La minaccia più immediata per la Grande Barriera Corallina proviene dal progetto di espansione del porto carbonifero di Abbot Point, piano avvallato dal governo australiano e che prevedrebbe l’aggiunta di un nuovo terminale a quello già esistente. Questo comporterebbe il raddoppio della capacità di carico, attualmente di 50 milioni di tonnellate di carbone all’anno. Le emissioni di CO2 che deriverebbero dalla combustione di tali quantitativi di carbone sarebbero equivalenti a quelle della Corea del Sud, settimo Paese al mondo per emissioni di gas serra.
Foto: © Greenpeace
3- Proprio i cambiamenti climatici sono già oggi il peggior nemico della Grande Barriera. Uragani e tempeste sempre più devastanti, sbiancamento dei coralli e acidificazione degli oceani sono processi causati dal riscaldamento globale che potrebbero distruggere la restante parte dei coralli ancora in salute.
Foto: © Greenpeace
4- Ad essere in grave sofferenza, oltre ai coralli, sono anche le estese praterie di piante marine – parenti prossime della posidonia mediterranea – e le specie che vivono quelle aree. Come ad esempio i dugonghi (la cui popolazione è solo il 3 per cento rispetto a quella del 1960), la tartaruga a dorso piatto e la tartaruga verde, che frequentano l’area marina di Abbot Point per riprodursi e alimentarsi.
Foto: © Greenpeace
5- Per Greenpeace, il Reef 2050 Plan presentato dal Primo ministro australiano Tony Abbott è una roadmap verso la totale distruzione della Grande Barriera Corallina, piuttosto che un piano per la tutela di un patrimonio dell’umanità, come chiesto dall’UNESCO. Un piano che consente ancora una volta massicce espansioni delle estrazioni di carbone e dei porti carboniferi. Il piano inoltre si occupa solo marginalmente di cambiamenti climatici, nonostante sia stato proprio il governo australiano, in un suo rapporto del 2014, ad affermare che quest’ultima è la minaccia numero uno per la Grande Barriera Corallina.
Foto: © Greenpeace
Siamo anche su WhatsApp. Segui il canale ufficiale LifeGate per restare aggiornata, aggiornato sulle ultime notizie e sulle nostre attività.
Quest'opera è distribuita con Licenza Creative Commons Attribuzione - Non commerciale - Non opere derivate 4.0 Internazionale.
Le alluvioni in India e Bangladesh hanno colpito una delle aree più popolate al mondo. Le piogge torrenziali hanno fatto esondare i tanti fiumi di grande portata della zona. Si parla già di 3 milioni si persone colpite.
L’urgano Beryl è il più veloce ad aver raggiunto categoria 4 nella storia delle rilevazioni. Ha già colpito duramente molte isole caraibiche.
Con la decisione di proteggere 400mila ettari del Grand Canyon dalle compagnie minerarie, il presidente degli Stati Uniti inizia un’opera di rammendo di una politica ambientale finora contraddittoria.
Prima di essere declassato a tempesta tropicale, l’uragano Idalia ha causato inondazioni anche lungo le coste atlantiche, colpendo con venti oltre i 150 chilometri orari.
Da quando Elon Musk ha acquisito la piattaforma il numero di esperti di clima che la utilizzavano per arricchire il dibattito scientifico è crollato.
Una giudice del Montana ha dato ragione ai 16 ragazzi tra i 5 e i 22 che avevano fatto causa allo stato per il sostegno dato ai combustibili fossili.
Un team di metereologi e divulgatori italiani ha affrontato una spedizione in Groenlandia per toccare con mano gli effetti dei cambiamenti climatici in una delle regioni cruciali per il futuro del nostro Pianeta.
Nel giorno del suo diploma Greta Thunberg ha partecipato al suo ultimo sciopero scolastico per il clima, là dove sono nati i Fridays for future.