La Cop16 sulla biodiversità si conclude con pochi passi avanti. Cosa resta, al di là della speranza?
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Con oltre 500 progetti di ripristino, l’Indonesia sta facendo di più per le barriere coralline rispetto a qualsiasi altro paese al mondo.
Nell’arco di un solo decennio, tra il 2009 e il 2018, è andato perduto il 14 per cento dei coralli presenti nei mari del mondo; è come se fosse scomparsa tutta la grande barriera corallina australiana. Se davvero il riscaldamento globale supererà i due gradi centigradi, come paventano gli scienziati, il 99 per cento delle barriere coralline farà la stessa fine. Tuttavia, c’è chi non vuole arrendersi a questo destino e si sta battendo per tutelare e ripristinare questi ecosistemi così preziosi: è il caso dell’Indonesia.
Con oltre cinquecento progetti di ripristino attivati dai primi anni Novanta in poi, l’Indonesia sta facendo di più per le barriere coralline rispetto a qualsiasi altro paese al mondo. Lo afferma la testata al Jazeera, citando uno studio (non ancora pubblicato) che ha potuto visionare in anteprima. “Questo è un risultato formidabile e va di pari passo con l’ambizioso piano del governo di creare 30 milioni di ettari di aree marine protette, per assicurare che le barriere coralline indonesiane non scompaiano nell’arco di una generazione”, spiega Tries Razak, autore della ricerca.
L’arcipelago di Penida, a sudovest di Bali, da anni è meta dei sub che vogliono ammirare il pesce luna (Mola mola), un pesce osseo che da adulto può arrivare a pesare fino a 2mila chili. Proprio il turismo ha messo a dura prova la sopravvivenza dei coralli, alla pari della pesca, dell’acquacoltura e della costruzione di un nuovo porto.
Da qui il progetto di ripristino avviato nel 2018 lungo la costa nord di Nusa Penida (l’isola più grande) dalla ong Blue corner marine research. Su una lunghezza di 300 metri sono stati posizionati quattrocento telai metallici, per fornire ai coralli un’impalcatura su cui crescere. L’idea ha funzionato: nell’arco di un paio d’anni le strutture – che man mano si sono disintegrate – erano completamente ricoperte di spugne e coralli, attorniati da pesci. “Tra le foto del prima e del dopo sembra il giorno e la notte”, spiega il coordinatore, il biologo marino canadese Andrew Taylor.
Sempre a Bali c’è l’Indonesian coral reef garden, un progetto finanziato dal ministero degli Affari marittimi e della pesca. Con un budget da 7,5 milioni di dollari, è il più grande progetto di ripristino dei coralli del mondo. Vuole anche essere un volano per la ripresa economica, dando un lavoro – almeno temporaneo – a 10mila addetti del comparto turistico rimasti disoccupati a seguito dalla pandemia. Come suggerisce il nome, l’intento è quello di far nascere giardini di coralli che si reggono su apposite strutture sottomarine, come tubi e campane di cemento e metallo.
L’obiettivo è ambizioso ma, sottolinea al Jazeera, sulla fattibilità gli esperti hanno qualche dubbio. “Piantare coralli non è come piantare alberi”, spiega Tries Razak, ricercatore presso la Ipb University. “L’operazione può avere successo in un punto ma non a due metri di distanza, se i fattori idrodinamici o la presenza di larve sono leggermente differenti”. Se mancano gli studi preliminari sulle condizioni del sito, le barriere rischiano di essere insediate nei posti sbagliati.
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