Si parla molto di Beck in questi giorni, dato che da poco è uscito il nuovo album Morning phase, ennesimo tassello di una carriera ventennale. Si tratta di un ritorno alle melodie di folk-rock di Sea change (Geffen, 2002), in cui Beck Hansen può sfoggiare le sue invidiabili doti di autore, lontano dai bizzarri “collage” che
Si parla molto di Beck in questi giorni, dato che da poco è uscito il nuovo album Morning phase, ennesimo tassello di una carriera ventennale. Si tratta di un ritorno alle melodie di folk-rock di Sea change (Geffen, 2002), in cui Beck Hansen può sfoggiare le sue invidiabili doti di autore, lontano dai bizzarri “collage” che lo hanno reso famoso.
La sua ascesa artistica e commerciale era infatti iniziata vent’anni fa con Mellow gold, uscito nel marzo del 1994. Il primo grande capolavoro dell’artista californiano, nonché quello che lo ha fatto conoscere al grande pubblico dell’alternative rock (e non solo). Folk sghembo e stralunato, attitudine punk, hip-hop, echi di grunge, delta blues, il tutto condito con un pizzico di psichedelia: Beck confezionò un disco straordinario, coraggioso e dotato di melodie inedite ed esplosive. I Pavement avevano già dimostrato in precedenza che il lo-fi poteva dominare le classifiche, ma Beck li superò in questo.
Mellow Gold è ricordato in particolare per il manifesto generazionale Loser, un vero e proprio inno costruito sul sample di un vecchio pezzo del Dr. John, I walk on guilded splinters, accompagnato da un videoclip low-budget divenuto storico. Talmente epocale che fu uno dei video più gettonati di MTV. Ma era solo l’inizio di un successo enorme: nel 1996 uscì infatti Odelay (DGC), la definitiva consacrazione di un’artista che, a vent’anni di distanza, non ha mai smesso di stupire.
Roberto Vivaldelli
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