Dopo un mese di razionamenti, sono stati completati i lavori per la condotta provvisoria che porterà l’acqua dal fiume alla diga di Camastra, ma c’è preoccupazione per i livelli di inquinamento.
Fra i coralli di Hol Chan il Belize si mostra nella sua meraviglia e contraddizione
Il Belize è il secondo Paese più piccolo dell’America centrale dopo El Salvador. La sua barriera corallina è patrimonio Unesco e protagonista del progetto Diritto a REsistere.
Immergendoci tra le acque cristalline di Hol Chan dimentichiamo per un momento le folle di visitatori e le spiagge cementificate di San Pedro. Pare impossibile che solo a qualche centinaio di metri dalla riserva, una delle isole più famose del Belize continui ad investire in turismo spietato e alberghi di lusso. Hol Chan in lingua Maya significa “piccolo canale” ed è proprio così che si presenta: fra i coralli, le alghe e le posidonie si spalanca un canyon. Il fondo sabbioso si intravede appena nel blu e laggiù si scorge una cernia gigantesca che torna presto in tana. Ogni angolo, ogni porzione di mare, di sabbia, di roccia, brulica di vita.
Questa piccola riserva naturale sulla barriera corallina è un santuario protetto, che a una prima occhiata sembra ancora vergine. Il Belize è la seconda tappa del viaggio del progetto Diritto a REsistere. Bastano pochi istanti per rendersi conto che l’impatto antropico è arrivato anche qui. Tra le mille sfumature di colore, infatti, compaiono chiazze bianche: coralli il cui originario arancio vivo è stato spento a causa dell’aumento delle temperature globali, dell’acidificazione degli oceani e di altri fattori come l’inquinamento e il turismo di massa.
La barriera corallina del Belize fa parte del sistema delle barriere coralline Mesoamericane, il secondo più grande al mondo, superato soltanto da quello australiano. I trecento chilometri di barriera, patrimonio Unesco dal 1996, sono un rifugio per moltissime specie a rischio, tra cui tartarughe, coralli e pesci di ogni tipo, ma anche lamantini, coccodrilli americani e tante altre creature di cui ancora sappiamo poco.
La barriera continua ad essere per il Belize una delle attrazioni turistiche principali e una fonte importante per il settore ittico e le conseguenze dello sfruttamento storico e ininterrotto di queste acque mette a rischio le centinaia di specie endemiche – scoperte o ancora da scoprire – che vi abitano. Anche se nuotando tra pesci e coralli sembra di tornare indietro nel tempo, quando gli animali avevano spazio per esistere e gli esseri umani erano la fragile parte di un mondo più grande, l’impatto antropico qui è stato sostanziale. Nel 2016 ancora si facevano i test sismici per le trivelle petrolifere a poche centinaia di metri dalla barriera, nonostante già dal 2009 fosse stata inserita dall’Unesco nella lista dei patrimoni a rischio.
Dopo grandi mobilitazioni nazionali e internazionali, il governo belisiano è stato costretto a prendere dei provvedimenti per tutelare quella che era già all’epoca la sua principale fonte di reddito. Grazie a queste misure nel 2018 la barriera è stata dichiarata abbastanza in salute da essere rimossa dalla lista. Ma questo non significa che il pericolo sia scomparso, anzi: si riflette in ogni corallo bianco, sbiadito alla luce grigia di un cielo in tempesta durante quella che dovrebbe essere la stagione secca.
Fortunatamente, a rendersene conto sono anche gli abitanti del luogo. “Quando ero piccola io, le cose erano molto diverse. C’era meno gente è il mare era più pulito” ci dice Kesilyn, giovane infermiera che in Belize è nata e cresciuta. Kesilyn fa parte di “Dottori per la Terra”, un’associazione che si occupa di generare consapevolezza sulla connessione tra ambiente e salute. “Il nostro benessere è legato a quello dell’ambiente – continua – anche se molti non ci pensano, assicurare un ambiente sano significa dare giuste condizioni igieniche, significa garantire aria pulita da respirare e acqua buona da bere, tutte cose essenziali per la salute umana. Se il mare muore, moriamo anche noi” conclude pensierosa, guardando le onde che si infrangono all’orizzonte, dove la barriera corallina ferma il mare. “Dobbiamo fare qualcosa, altrimenti ci rimetteremo tutti. E noi stiamo già pagando.” dice.
E di esempi ce ne fa tanti. Belize City, la capitale del piccolo stato centramericano, è sotto il livello del mare; basta una tempesta a mandarla sott’acqua e far risalire in strada le acque nere, causando problemi di igiene pubblica. Con l’invasione del sargasso, un’alga infestante la cui decomposizione causa il rilascio di gas dannosi per la salute umana, sono aumentati anche i casi di malattie respiratorie. E anche gli eventi climatici estremi contribuiscono a pggiorare il quadro. I frequenti uragani distruggono case e ospedali, mettendo a rischio le fasce più deboli della popolazione. “Durante le tempeste, all’ospedale siamo solo metà del personale, così se dovesse crollare ci saranno le risorse umane per continuare il lavoro” ci spiega.
Per questo è essenziale combattere. Per questo è essenziale resistere. Trovando anche il coraggio di farlo con un sorriso, come fa Kesilyn, raccontando degli uragani come fossero vecchie storie divertenti e parlando con orgoglio di piccole vittorie come una vecchia casa traballante che resiste, stoica ed inclinata, agli alberghi di lusso e agli uragani.
Finora le persone che abbiamo incontrato con Diritto a REsistere ci hanno dato tanto, ma la cosa più importante che ci hanno insegnato è che non possiamo abbatterci, dobbiamo continuare a sperare, come fa chi cammina con l’acqua fino alle ginocchia nella propria città, continuamente allagata. Come disse Charles Peguy, “è sperare la cosa più difficile. La cosa più facile è disperare, ed è una grande tentazione”.
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