La sensibilità delle aziende italiane sui temi di benessere aziendale è aumentata. Ma quanta strada ancora c’è da percorrere e cosa possono fare le organizzazioni per migliorare il benessere delle persone?
Che il benessere delle aziende sia direttamente proporzionale al benessere delle persone che lavorano al loro interno è ormai dimostrato da numerosi studi. Per citarne solo alcuni, secondo l’università di Oxford i lavoratori che si considerano molto felici sono il 13 per cento più produttivi di quelli che affermano di non esserlo, mentre per l’Harvard business review un buon livello di soddisfazione vale, in media, un aumento della produttività aziendale del 31 per cento, un aumento delle vendite del 37 per cento e livelli di creatività tre volte superiori. Secondo alcune ricerche, quelle organizzazioni che, durante l’emergenza Covid-19, hanno messo al primo posto le persone, sono riuscite a mantenere alti i livelli di produttività e un maggiore slancio nella ripresa post pandemia.
Dunque, welfare come fattore di resilienza, ma soprattutto come importante strumento strategico di crescita, i cui benefici si riflettono sulle persone e sulle aziende, ma anche sull’intero paese. Nonostante le evidenze appena elencate, esistono molti altri studi che rilevano come spesso sia proprio il lavoro a essere causa di stress. L’Italia è addirittura sul podio per numero di lavoratori insoddisfatti: una ricerca di Bain & company ha evidenziato che solo il 60 per cento dei lavoratori italiani è appagato dalla propria professione, mentre il 64 per cento dei lavoratori italiani sotto i 35 anni si sente sopraffatto o sotto stress e più della metà degli over 35 cita lavoro e stabilità economica come elementi di preoccupazione. In generale, solo il 4 per cento degli italiani è pienamente appagato e coinvolto sul lavoro.
Benessere organizzativo aziendale: che cos’è?
Una definizione di benessere sul posto di lavoro è stata data dall’Unione europea nel 2008-2009, che lo descrive come “lo stato mentale e fisico dei lavoratori che deriva da un equilibrio bilanciato fra il lavoro, il contesto ambientale e il tempo libero”. Dunque, per benessere organizzativo si intende soprattutto “la capacità di un’organizzazione di promuovere e mantenere il benessere fisico, psicologico e sociale di tutte le lavoratrici e di tutti i lavoratori che operano al suo interno”.
Negli anni, questo concetto ha trovato riscontro anche nella legislazione e nelle istituzioni: per esempio, un decreto del 2008 ha introdotto l’obbligo da parte delle aziende di valutare i rischi di stress lavoro correlato mentre nel 2013 si è stabilito l’obbligo per le amministrazioni di pubblicazione dei risultati delle indagini sul benessere organizzativo. Rilevazione su benessere lavorativo e mobbing vengono anche presentate periodicamente dall’Istat, l’ente nazionale di statistica, con lo scopo di raccogliere informazioni ed evidenze utili sul tema.
Ma, da cosa dipende lo “stare bene” dei lavoratori e delle lavoratrici? Secondo un sondaggio Ipsos, i principali problemi di benessere dei dipendenti dipendono per il 65 per cento da un work life balance disequilibrato, per il 44 per cento dall’ambiente e dalla cultura sul posto di lavoro e per il 33 per cento da episodi di burnout.
Cosa possono fare le aziende per migliorare il benessere delle proprie persone
Come sottolineato da Shawn Achor, autore del libro The happiness advantage, a questo punto la domanda non è se la felicità delle proprie persone debba essere importante per le aziende, ma cosa un’azienda possa fare per aumentare il livello di felicità di un dipendente.
“The single greatest advantage in the modern economy is a happy and engaged workforce.”
Per esempio, nella sfera del benessere psicologico, esistono diverse strategie per migliorare il work life balance e diminuire i livelli di stress dei dipendenti: si va dalle iniziative individuali dei singoli manager, come evitare di convocare riunioni durante la pausa pranzo o la sera tardi, a piani di welfare veri e propri o iniziative più strutturate, come la promozione del telelavoro e la flessibilità di orario; dalle sessioni formative sul time management all’offerta di servizi che possano aiutare le persone nella gestione degli impegni personali, come consulenze fiscali, legali, pratiche amministrative assicurative e postali, fino ad arrivare a dotarsi di strutture interne all’azienda, come possono essere gli asili nido aziendali.
Ma le organizzazioni possono fare molto anche per il benessere fisico, partendo dalla progettazione degli spazi: per esempio, secondo il dipartimento di Design and environmental analysis di Cornell, ottimizzare la quantità di luce naturale in un ufficio migliora la salute e la produttività dei lavoratori, mentre le persone in ambienti decorati da opere d’arte e piante risultano fino al 32 per cento più produttive di quelle in spazi spogli e asettici. Anche l’applicazione della cromoterapia per gli arredi non è da sottovalutare, così come la cura del design degli ambienti adibiti ai servizi igienici: visto e considerato che proprio la mancanza di privacy può essere motivo di malessere in ufficio, i bagni spesso diventano spazi di relax per i dipendenti.
Tornando alle strutture che possono essere integrate all’interno delle organizzazioni, già nel 2008 uno studio ha dimostrato che il 60 per cento dei lavoratori dichiara un miglioramento dell’umore e delle proprie prestazioni intellettive nei giorni in cui si esercitano nella palestra aziendale rispetto ai giorni in cui non lo fanno.
Importante è anche il benessere relazionale: secondo un’indagine del 2018 condotta da Page group a livello europeo, per il 97 per cento dei professionisti le relazioni positive sul posto di lavoro sono importanti e in particolare nel nostro paese. Per agevolare la socializzazione, le aziende possono creare aree di aggregazione, ma anche agevolare il team work tramite progetti di team building, team coaching e formazione sulla leadership.
Aumentano le aziende italiane che pensano al benessere delle proprie persone
Negli anni, la sensibilità delle aziende italiane è aumentata e oggi esistono poi anche diverse norme, standard di qualità, sistemi di gestione e riconoscimenti legati a questi temi. Tra questi, ogni anno la classifica Great place to work Italia decreta le migliori aziende dove lavorare nel nostro paese sulla base di un’indagine che raccoglie direttamente le opinioni e i feedback di migliaia di collaboratrici e collaboratori che lavorano nelle centinaia di aziende che partecipano alla survey. Le aziende inserite nel ranking concorrono anche per le classifiche Best workplaces for millennials, for diversity & inclusion e for women.
Nel 2023, Sebach, azienda che da sempre pone attenzione al benessere delle proprie persone con l’attivazione di progetti di welfare e wellbeing aziendale, si conferma Great place to work certified e, secondo la classifica dei Best workplaces for women 2023, uscita da pochissimo, si conferma per il terzo anno consecutivo tra le 20 migliori aziende per cui lavorare in Italia proprio a partire dall’esperienza diretta delle donne che ci lavorano.
Profilazione razziale, xenofobia nel dibattito politico e omofobia nel report dell’Ecri. Tra le sue richieste c’è quella di rendere indipendente l’Unar.
La “liana delle anime” è un decotto della medicina indigena dell’Amazzonia che può alterare lo stato psichico di chi la assume, e per questo affascina milioni di persone nel mondo.
Presente al corteo l’attivista svedese ha detto: “Non puoi dire di lottare per la giustizia climatica se si ignora la sofferenza dei popoli emarginati”.