I pesci negli allevamenti possono sentire dolore e stress, ma le loro condizioni non sono monitorate a sufficienza. Lo dice un nuovo studio scientifico.
Si parla tanto – e a ragione – del benessere animale delle galline ovaiole o dei bovini negli allevamenti intensivi. Invece sappiamo poco, pochissimo, dei pesci negli allevamenti. Eppure anche loro sono creature senzienti, capaci di provare stress e dolore quando vengono mantenute in condizioni inadatte alla loro natura. Cosa che con molte specie – dal polpo al salmone – capita sistematicamente o quasi. A fare luce sulla questione è uno studio dell’università di New York pubblicato nella rivista Science advances.
Sappiamo troppo poco sui pesci negli allevamenti
Su una produzione ittica globale pari a 179 milioni di tonnellate, l’acquacoltura ha raggiunto nel 2018 il suo massimo storico di 82,1 milioni di tonnellate, per un giro d’affari di 250 miliardi di dollari. È quanto emerge dall’ultima edizione del rapporto Lo stato della pesca e dell’acquacoltura mondiale (Sofia) pubblicato dalla Fao. Traducendo il peso in numeri, ciò significa che vengono allevati dai 250 ai 408 miliardi di pesci, per la maggior parte invertebrati (la stima varia dai 191 ai 279 miliardi, contro i 59-129 miliardi di vertebrati). Il consumo di pesce ha ormai raggiunto i 20,5 kg pro capite all’anno ed è destinato ad aumentare ancora, sottolinea l’organizzazione delle Nazioni Unite, ritenendolo determinante per la sicurezza alimentare.
Con volumi del genere, sorprende scoprire quanto poco siano state indagate le loro condizioni di benessere animale, espressione che si riferisce alla qualità della vita in relazione all’ambiente. Sulle 408 specie allevate nel mondo, solo per 84 sono disponibili informazioni approfondite. Per tutte le altre, la letteratura scientifica è scarna o inesistente.
“Se è vero che l’esistenza di conoscenze sul benessere animale non è sufficiente per assicurare che esso venga rispettato, è vero anche che l’assenza di tali informazioni è problematica”, puntualizza Becca Franks, ricercatrice presso l’università di New York e prima autrice dello studio. “In sintesi, la nostra ricerca rivela che la moderna acquacoltura pone minacce per il benessere animale senza precedenti in termini di portata globale e di numero di individui coinvolti”.
I pesci infatti sono creature senzienti, sottolinea al Guardian Lynne Sneddon, biologa presso l’università di Göteborg. Ciò significa che “sono capaci di sentire dolore, paura e stress. Nonostante ciò, li alleviamo in condizioni che non sarebbero ritenute accettabili per gli uccelli e i mammiferi”. È il caso per esempio della trota iridea e del salmone dell’Atlantico, molto aggressivi e per nulla propensi a condividere gli spazi con gli altri. La vita a cui sono costretti questi pesci negli allevamenti, quindi, non è per nulla in linea con la loro natura. Va meglio invece per la tilapia, più portata agli habitat molto affollati.
Ma cosa succede quando non si garantisce il benessere dei pesci negli allevamenti? Dopo aver passato in rassegna 41 diverse specie, i ricercatori parlano di malformazioni, difetti fisiologici alla nascita, aggressività, mobilità ridotta, “estremo dolore e sofferenza” al momento della macellazione. Come indicazione generale, lo studio raccomanda di incentrare l’acquacoltura sulle specie più semplici, come ostriche, cozze e vongole. Viceversa, quelle più intelligenti – come il polpo – non sono per nulla adatte a essere allevate.
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