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Biafra bikers. Storia di fratellanza e integrazione in sella a una moto
Ai margini dello storico bairro Mafalala di Maputo dove erano segregati gli indigeni durante il colonialismo, a poca distanza dall’enorme rudere della vecchia arena per la corrida costruita dai portoghesi, c’è un bar molto singolare. Le pareti di mattoni e lamiera sono verniciate di rosso, nero e verde e sulla porta d’ingresso d’acciaio si legge in
Ai margini dello storico bairro Mafalala di Maputo dove erano segregati gli indigeni durante il colonialismo, a poca distanza dall’enorme rudere della vecchia arena per la corrida costruita dai portoghesi, c’è un bar molto singolare. Le pareti di mattoni e lamiera sono verniciate di rosso, nero e verde e sulla porta d’ingresso d’acciaio si legge in bianco: Biafra bar.
La storia del Biafra, arrivata in Mozambico
È situato in una zona commerciale del quartiere, formata principalmente da rivenditori di pezzi di ricambio usati per auto, officine meccaniche e qualche locanda gestita da laboriose mulheres, donne. L’interno del locale è scuro e tappezzato di bandiere con il sole nascente della Repubblica del Biafra, lo stato secessionista che si dichiarò indipendente dalla Nigeria tra il 1967 e il 1970 facendo scoppiare il conflitto che causò milioni di vittime. Ovunque ci sono scritte come “Biafra libero!” o “Lunga vita al Biafra”, elementi già di per sé curiosi visto che ci troviamo Mozambico, dall’altra parte del continente africano rispetto alla Nigeria.
I tavolini rossi sono illuminati solo dalla luce che entra dall’ingresso e da quella dei neon del piano bar nascosto dietro a delle ringhiere. In alto a destra rispetto all’ingresso un televisore trasmette un match di calcio, mentre in basso un grosso tavolo da biliardo usurato è circondato da ragazzi che urlano fra loro tra una biglia in buca e un colpo sbagliato.
Samuel Ogbeide è un nigeriano di 41 anni che se ne sta appoggiato su un’enorme moto con in mano la sua stecca. “Non mi allontano mai dal mio bolide. La mia bambina la parcheggio dentro al locale. Oggi però la porto fuori perché è il giorno in cui ci raduniamo”, afferma ridendo mentre indica l’uscita con lo sguardo. È lui il proprietario del Biafra bar, il frutto di anni di risparmi messi da parte lavorando in Italia, poi in Sudafrica e ora qui in Mozambico.
Appena fuori sul cortile c’è un gruppo di persone che discutono fra loro fumando sigarette e sorseggiando bottiglie di “2M” o di “Manica”, due marche di birra mozambicane. A poca distanza, di fronte all’entrata del bar, se ne stanno allineate una decina di moto accuratamente disposte sulla terra rossa e annerita dall’olio per motori. Come lo stesso Samuel, questi motociclisti indossano pantaloni e guanti in pelle, bandane, stivali e gilet pieni di toppe e borchie. Alcuni portano anche delle maniche di tessuto sintetico colorate sugli avambracci che simulano dei tatuaggi.
I Madodas Riders corrono per integrazione e indipendenza
Anche se ci troviamo in uno dei sobborghi più poveri di una città dell’Africa subsahariana, sembra di stare in un covo di centauri in stile americano, solo che non si tratta delle Harley-Davidson che si vedono correre lungo la Route 66 degli Stati Uniti, ma di potenti moto di seconda mano modificate ad opera d’arte con pezzi usati di ogni tipo. L’illusione è comunque singolare e anche modi di fare di questi motociclisti non li smentiscono: hanno un loro codice d’onore, un loro gergo e sono piuttosto irascibili se non li si prende per il verso giusto. Si chiamano Madodas Riders e Samuel è uno dei loro membri più anziani e influenti.
Vedere questo gruppo di centauri africani girovagare facendo rombare i motori fra le strade sterrate dei sobborghi di Maputo con occhiali da sole, catene al collo ed elmetti variopinti, è già stravagante di per sé ma i Madodas Riders rappresentano qualcosa di speciale.
Il gruppo è stato fondato cinque anni fa da mozambicani, ma oggi quasi metà dei componenti sono nigeriani di etnia igbo fuggiti dalla repressione del loro paese ed emigrati in Mozambico, dove fanno parte di una comunità di circa tremila persone che vive a Maputo. “Anche se veniamo da paesi e culture differenti e lontane, abbiamo in comune la passione della moto”, spiega Samuel. “È uno stile di vita basato sulla libertà e la fratellanza. Qui nel mio bar abbiamo formato una grande famiglia”.
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Il futuro del continente africano è nella fratellanza tra i popoli
Questa inclusione è così rara e singolare, se si pensa ai casi di xenofobia che avvengono frequentemente nel vicino Sudafrica e più in generale alla difficoltà di integrazione vissuta dai migranti in altri paesi africani. Sicuramente è il risultato dalla indole più aperta ed accogliente del popolo mozambicano, ma ha giocato un ruolo anche il fatto che il Biafra Bar sia il principale centro di riunione della cellula mozambicana dell’Indigenous people of Biafra (Ipob), l’organizzazione secessionista sparsa in tutto il mondo e dichiarata terrorista dal governo di Abuja nel 2017.
Negli ultimi anni Amnesty International ha denunciato esecuzioni, torture e trattamenti degradanti ai danni dei biafrani in Nigeria. “Il governo di Abuja ci perseguita, ci reprime ed emargina da sempre”, spiega Innocent Mmeka, Coordinatore nazionale dell’Ipob in Mozambico. “I media non ne parlano perché veniamo soffocati, ma è a causa di ciò che scappiamo e formiamo comunità come questa in paesi dove la gente ci ha accolto”.
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Il movimento, guidato da Nnamdi Kanu è presente in Nigeria e all’estero fra i membri della diaspora che organizzano manifestazioni e incontri oltre a raccogliere fondi e fare propaganda attraverso l’emittente radiofonica Radio Biafra basata nel Regno Unito, con l’obiettivo di raggiungere l’indipendenza del Biafra tramite un referendum.
Un’altra testimonianza di questa unione sono i festeggiamenti e le cerimonie che avvengono ogni anno il 30 maggio, in occasione dell’anniversario della dichiarazione di indipendenza del Biafra, e ai quali partecipano ovviamente anche i Madodas Riders, mozambicani compresi.
Nel gruppo si è creato un legame talmente forte da coinvolgere anche membri mozambicani nelle rivendicazioni indipendentiste che i biafrani portano avanti ancora oggi sia in Nigeria che all’estero. “Sono come nostri fratelli e abbiamo deciso di essere solidali nella causa che riguarda la loro terra anche se è lontana e non la conosciamo”, afferma Kota Sebas, leader dei Madodas Riders. “Il futuro del continente sta nella fratellanza fra popoli”.
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