Next stop Washington: un reportage dalla capitale degli Stati Uniti nel giorno della cerimonia di insediamento del nuovo presidente Joe Biden.
Ora siamo tutti d’accordo sul clima
Con Joe Biden presidente degli Usa, è la prima volta che l’intera comunità internazionale è allineata sulla crisi climatica. Non facciamoci sfuggire questa occasione.
Abbiamo perso quattro anni pur sapendo di essere già in ritardo. Ma per fortuna la parentesi cupa che era stata aperta dagli americani nel 2016 – o per meglio dire, da una loro minoranza –, è stata richiusa dopo che la presunta ventata d’aria fresca si era trasformata in un tornado – mascherato da voto di protesta – nelle stanze della Casa Bianca. Prima che fosse troppo tardi.
Le ferite che l’ex presidente degli Stati Uniti Donald Trump ha lasciato sull’America e sul resto del mondo, però, sono tante e ancora aperte. Su questo abbiamo dedicato un approfondimento. La ferita più rilevante è quella legata all’uscita degli Stati Uniti dall’Accordo di Parigi, il primo trattato internazionale che coinvolge l’intera comunità internazionale nella lotta contro la crisi climatica. Un ritiro annunciato nel 2017, ma diventato ufficiale solo il 4 novembre, tre anni dopo. E che giunge a pochi giorni dal quinto anniversario dall’adozione avvenuta il 12 dicembre 2015 nel corso della Cop 21 di Parigi, in Francia.
Joe Biden sul clima
Ferite, dicevamo, che saranno difficili da rimarginare. Non tanto per le idee del nuovo presidente Joe Biden sul clima, che sappiamo essere “giuste”, quanto per il tempo perso nell’affrontare una crisi colossale. Una crisi che è già in atto e che ha bisogno di azioni immediate e trasversali. Non è un caso se molti americani, soprattutto i più giovani, hanno deciso di votare, e di votare per Biden – trasformandolo nel candidato più votato della storia delle elezioni presidenziali con quasi 80 milioni di preferenze – per il suo piano d’azione per il clima, l’unico considerato “accettabile” tra i candidati in corsa per la Casa Bianca. E forse hanno fatto bene visto il tweet che ha scritto il 5 novembre: “Oggi l’amministrazione Trump ha ufficialmente abbandonato l’Accordo di Parigi. E tra esattamente 77 giorni un’amministrazione Biden vi rientrerà”.
Niente di trascendentale, stiamo parlando delle basi, dell’abc. Ma di questi tempi di “analfabetismo climatico” in America bisogna gioire anche per queste piccole cose. Del resto, gli stessi giovani e realtà come il Sunrise Movement che hanno votato per Biden, lo avevano criticato durante le primarie del Partito democratico per la sua moderazione sul tema rispetto ad altri contendenti come Bernie Sanders o Elisabeth Warren.
Gli Usa, ricordiamolo, sono responsabili di quasi il 15 per cento delle di emissioni di gas serra che vengono emesse in atmosfera in un anno e questo basta per capire quanto sia fondamentale l’apporto americano per la costruzione di un futuro sostenibile per l’intera comunità internazionale. Non solo, gli Stati Uniti sono anche tra le economie più grandi e influenti al mondo e hanno il potere di persuadere e spronare altri, a volte neanche tanto dolcemente, a seguire l’esempio.
Dare il buon esempio
E se sono ancora una potenza economica mondiale, nonostante tutto, è perché in passato hanno bruciato combustibili fossili – e lo fanno ancora – come se non ci fosse stato un domani, come se non ci fosse stato un futuro. Sono quindi tra i maggiori responsabili delle emissioni storiche. Quelle che hanno portato alla temperatura attuale, superiore alla media di circa un grado centigrado.
Per tutto questo, l’inazione di Washington in questi anni pesa tantissimo e ha fatto accumulare altro ritardo ingiustificabile. L’obiettivo di Parigi è mantenere l’aumento medio ben al di sotto dei due gradi, meglio intorno al grado e mezzo secondo quanto ci dicono gli scienziati. Forse non ce la faremo, forse siamo in ritardo, ma prima di tutto bisogna provarci con ogni mezzo a nostra disposizione. I giovani e i movimenti come Fridays for future o Extinction rebellion sono scesi in piazza per chiedere a gran voce di trattare la crisi climatica per quello che è, un’emergenza globale da affrontare uniti e in modo rapido. Esattamente come siamo stati in grado di fare, o almeno ci abbiamo provato, contro il coronavirus.
Ora siamo tutti d’accordo, sul clima
Abbiamo chiuso una parentesi che ci ha fatto perdere tempo prezioso, che non tornerà. Ora dobbiamo cogliere l’occasione per voltare pagina e scrivere il finale di questa storia cominciata 30 anni fa. Non era mai capitato e non ci capiterà più di avere tutte le più grandi potenze mondiali focalizzate sullo stesso obiettivo. Cogliamo l’attimo, tagliamo le emissioni.
Siamo anche su WhatsApp. Segui il canale ufficiale LifeGate per restare aggiornata, aggiornato sulle ultime notizie e sulle nostre attività.
Quest'opera è distribuita con Licenza Creative Commons Attribuzione - Non commerciale - Non opere derivate 4.0 Internazionale.
“C’è sempre luce, se siamo abbastanza coraggiosi da vederla”. Chi è Amanda Gorman, la giovane poetessa afroamericana che all’inauguration day ha conquistato tutti.
Oggi Joe Biden diventa ufficialmente il 46esimo presidente degli Stati Uniti. Tutti gli aggiornamenti in diretta sull’inauguration day a Washington.
Il presidente Trump lascerà la Casa Bianca il 20 gennaio, ma le decisioni che sta tuttora prendendo avranno conseguenze anche dopo l’insediamento di Biden.
L’assalto al Congresso da parte dei sostenitori di Donald Trump non ha bloccato il processo democratico: Joe Biden sarà il prossimo presidente americano.
Sostenitori del presidente Trump hanno fatto irruzione nel Congresso di Washington. Una donna è stata colpita da un proiettile. Gli aggiornamenti in diretta.
Deb Haaland guiderà il dipartimento degli Interni: per la prima volta una persona nativa americana ricopre questa carica. Il suo ruolo sarà centrale per le politiche climatiche e per i diritti indigeni.
Per realizzare il piano per il clima della prossima amministrazione Usa, l’Epa potrà fare la differenza. Joe Biden la vuole affidare a Michael Regan.
Negli anni ’30, quando la rappresentanza politica delle minoranze negli Stati Uniti era praticamente inesistente, l’orgoglioso nativo americano Charles Curtis divenne vicepresidente.