Stati Uniti, Biden sospende le trivellazioni in parte dell’Alaska

Lo stop alle trivellazioni è stato accolto positivamente dagli attivisti ma arriva dopo una serie di decisioni controverse, per l’Alaska e non solo.

Qualcosa si muove negli Stati Uniti per quanto riguarda il clima e la protezione ambientale. Il primo giugno l’amministrazione guidata dal presidente Joe Biden ha sospeso i permessi precedentemente concessi da Donald Trump per estrarre petrolio nell’Arctic national wildlife refuge (Anwr), una riserva naturale protetta situata nel nordest dell’Alaska. Tutte le operazioni verranno quindi temporaneamente bloccate, in attesa che il governo determini il peso ambientale delle trivellazioni e indaghi su possibili equivoci legali nelle modalità con cui sono state concesse le licenze.

La decisione arriva però dopo una serie di mosse ben più controverse. Il 26 maggio Biden aveva difeso un progetto volto a estrarre petrolio e gas naturale nel nord dell’Alaska, e a inizio aprile si era opposto alla possibilità di chiudere un importante oleodotto che corre dal North Dakota all’Illinois. Il susseguirsi di decisioni contrastanti ha suscitato diverse critiche da parte degli attivisti, soprattutto alla luce dell’impegno a favore del clima mostrato da Biden in campagna elettorale. Vediamo come stanno le cose più nel dettaglio.

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L’Arctic National Wildlife Refuge, in Alaska © U.S. Fish and Wildlife Service/Getty Images

Stop alle trivellazioni nell’Arctic wildlife refuge dell’Alaska

L’annuncio è arrivato il primo giugno: Deb Haaland, la prima nativa americana alla guida del dipartimento degli Interni, ha temporaneamente sospeso le licenze operative per trivellare un’area di 1,5 milioni di acri – equivalenti a più di seimila chilometri quadrati – a Prudhoe Bay, nel nordest dell’Alaska. L’area fa parte dell’Arctic national wildlife refuge, un’enorme riserva naturale istituita nel 1960 che si estende per quasi 80mila chilometri quadrati e ospita specie animali sempre più rare, come renne e orsi polari.

Proprio grazie alla sua purezza e fragilità la zona era a lungo stata risparmiata dalle attività di trivellazione, ma con l’arrivo dell’amministrazione Trump le cose sono cambiate. L’ex presidente ha infatti avviato il processo di vendita delle licenze per l’estrazione di petrolio già nel 2017, l’anno in cui è entrato in carica, ma le ricerche preliminari necessarie per definire l’impatto dei processi estrattivi sul territorio interessato si sono concluse solo ad agosto 2020, quando è stato approvato il via libera alle operazioni. Gli attivisti, però, hanno fatto causa all’amministrazione sostenendo che la revisione dei potenziali danni fosse stata fatta in modo affrettato e poco esaustivo.

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L’Arctic National Wildlife Refuge è stato a lungo risparmiato dalle attività estrattive © U.S. Fish and Wildlife Service/Getty Images

In ogni caso, le licenze sono state acquistate a un prezzo relativamente basso da piccole compagnie e da una società controllata dallo stato dell’Alaska. Quest’ultima è stata l’unica offerente per alcune zone considerate poco attrattive, un fattore che potrebbe far emergere problemi di carattere legale.

Ora, la nuova amministrazione ha sospeso temporaneamente la validità delle licenze finché non verranno chiarite le questioni relative all’impatto ambientale degli impianti di estrazione e all’effettiva validità dei contratti stipulati.

La decisione è stata applaudita dalle associazioni ambientaliste e dalle organizzazioni che difendono i nativi che abitano la zona. Kristen Miller, direttrice esecutiva della Alaska Wilderness League, ha detto in un commento ottenuto da LifeGate: “Le azioni del presidente Biden indicano l’inizio di una nuova era caratterizzata da una leadership forte e visionaria che combatte il cambiamento climatico e dà priorità alla giustizia ambientale”. Allo stesso tempo, però, Miller ha criticato le precedenti decisioni relative al progetto Willow.

Il supporto al progetto Willow, nell’Alaska del nord

Il 26 maggio, pochi giorni prima dell’annuncio sullo stop alle estrazioni nell’Arctic national wildlife refuge, il dipartimento di Giustizia americano ha difeso la decisione, presa dall’amministrazione Trump nell’ottobre 2020, di approvare un enorme progetto di estrazione petrolifera nel nord dell’Alaska. Il piano, conosciuto come Willow Project, è gestito dalla multinazionale ConocoPhilips e potrebbe estrarre fino a 100mila barili di petrolio al giorno per i prossimi trent’anni in un’area dell’Alaska conosciuta come National petroleum reserve. Gli attivisti locali avevano fatto causa al progetto, ma il governo americano ha ora confermato che questo rispetta le leggi vigenti.

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Bue muschiato nell’Arctic National Wildlife Refuge, in Alaska © US Fish and Wildlife Service/Getty Images

Miller ha duramente criticato la posizione presa dall’amministrazione Biden, definendola “estremerete deludente” e affermando che questa “ignora le preoccupazioni delle comunità indigene locali” e non tiene in considerazione i rischi per il territorio. Sulla stessa linea si sono poste molte altre associazioni attive in ambito ambientale. “Stanno dando modo all’industria petrolifera di causare danni irreparabili sulla salute delle comunità che abitano nella zona artica, e agli habitat che ospitano la fauna locale”, ha detto all’agenzia di stampa Reuters Gregory Stewart, responsabile legale per la sezionale Alaska del Sierra Club, una tra le principali organizzazioni ambientaliste degli Stati Uniti. John Noel, attivista per Greenpeace Usa, ha invece definito la decisione come un “passo falso”.

Al contrario Lisa Murkowski, senatrice repubblicana dell’Alaska, ha accolto favorevolmente la decisione di continuare con i lavori: “Fin dall’inizio ho lavorato per far capire alla nuova amministrazione quanto sia importante il progetto Willow per l’economia dell’Alaska, le comunità di North Slope [l’Alaska settentrionale] e i migliaia di lavoratori della regione”, ha detto in un comunicato stampa. “Il dipartimento di Giustizia ha raggiunto la conclusione che noi già conoscevamo”.

L’oledotto in North Dakota                                                               

A inizio aprile la Casa Bianca guidata da Joe Biden aveva inoltre declinato la possibilità di bloccare temporaneamente il funzionamento di un importante oleodotto in North Dakota, anche questo approvato dal governo Trump e operativo dal 2017, mentre è in corso una revisione dei suoi potenziali rischi ambientali che durerà almeno fino a marzo 2022.

L’infrastruttura, chiamata Dakota Access Pipeline, corre per quasi duemila chilometri dal North Dakota all’Illinois e negli anni è stata largamente criticata dalle comunità native Sioux, secondo cui questa inquina il fiume Missouri, una fonte d’acqua per loro fondamentale. Proprio i Sioux avevano fatto causa al progetto, ottenendo l’avvio della revisione attualmente in corso.

Dakota Access Pipeline
I nativi Sioux protestano contro la Dakota Access Pipeline © Scott Olson/Getty Images

E ora?

La sfida rappresentata dai cambiamenti climatici diventa ogni giorno più impellente e gli Stati Uniti, secondi solo alla Cina per quantità di emissioni inquinanti rilasciate ogni anno, hanno tutte le carte in regola per porsi come esempio a livello internazionale e spronare gli altri Paesi a tener fede agli obiettivi dell’Accordo di Parigi.

Il presidente Biden ha più volte affermato di considerare le questioni ambientali come una priorità per la sua amministrazione, al punto da creare una nuova carica governativa ad hoc: l’inviato presidenziale per il Clima, incarico ricoperto da John Kerry, diplomatico di lungo corso e Segretario di Stato negli anni di Obama.

Secondo molti attivisti lo stop – seppur temporaneo – alle estrazioni petrolifere nella riserva dell’Alaska è un passo nella giusta direzione, ma per generare conseguenze concrete e durature serve avere più coraggio.

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