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Non solo olio di palma, la crescita della produzione di biocarburanti è una bomba a orologeria
La produzione di biocarburanti da olio di palma e olio di soia è in costante aumento. A rischio 7 milioni di ettari di foreste per emissioni pari a 2.600 centrali a carbone.
La quantità di biocarburanti derivati dall’olio di palma e dalla soia potrebbe aumentare fino a sei volte entro il 2030. A rischio 7 milioni di ettari di foreste, di cui fino a 3,6 milioni di ettari di aree torbiere. Con ulteriori emissioni di CO2 che potrebbero variare tra i 4 e gli 11,7 miliardi di tonnellate. L’equivalente, nel caso più grave, di 2.600 centrali a carbone.
Questi i dati emersi dall’ultimo rapporto di Rainforest foundation Norway, dal titolo Biofuel to the fire – ottenuto in anteprima nazionale da LifeGate – che evidenzia come le proiezioni di produzione dei biocarburanti a base vegetale (stimate su aumenti della domanda 2015-2018) sono assolutamente allarmanti, se non si conterrà la richiesta.
Quanto crescerà la domanda di olio di palma e olio di soia
Lo scenario peggiore prevede che, entro dieci anni, la domanda totale di olio di palma per alimentare motori di aerei e veicoli potrebbe arrivare a circa 61 milioni di tonnellate, con buona pace di chi pensa che responsabile sia solo la Nutella. L’olio di soia come biocarburante raggiungerà quota 41 milioni di tonnellate, quasi il 75 per cento della produzione attuale complessiva, un aumento decisamente importante.
Dietro questa esplosione della richiesta di biocarburanti c’è la crescente domanda da parte dell’aviazione, oggi il principale “consumatore” ad alto rischio deforestazione, e la sete di carburanti non fossili di paesi come Indonesia e Brasile, che vogliono garantirsi l’indipendenza energetica. Puntando tutto su olio di palma e – dove non è possibile (come in Europa) o dove c’è abbondanza – sulla soia.
“I dati del report Biofuel to the fire mostrano come non basta eliminare l’olio di palma dalla produzione”, spiega Veronica Aneris di Transport&Environment. “La soia, già largamente impiegata nell’allevamento, insieme ai derivati dell’olio di palma come il Pome (Palm oil mill effluent) o il Pfad, distillato di acidi grassi di palma che sta rapidamente guadagnando importanti fette di mercato, anche in Italia. Non è più solo l’olio di palma, dunque, la causa prima di deforestazione per fare biocarburanti”.
L’Europa all’avanguardia, ma il resto del mondo spaventa
Sebbene i sussidi per i biocarburanti a base di olio di palma saranno eliminati dall’Unione europea entro il 2030, nel resto del mondo la domanda è in continua espansione, in particolare in Asia. Simultaneamente sta esplodendo la domanda di carburanti a base di soia nelle Americhe.
L’impatto sul clima potrebbe essere devastante. Attualmente le emissioni di CO2 globali da deforestazione sono pari a circa 11,5 miliardi di tonnellate, più delle emissioni attuali prodotte dalla Cina per bruciare combustibili fossili. Secondo il report di Rainforest foundation, se venisse confermata la previsione di elevata domanda di combustibili fossili, l’aumento della produzione di olio di palma comporterebbe emissioni derivate da deforestazione per 9,1 miliardi di tonnellate, mentre per la soia sarebbe di 2,6 miliardi.
Biocarburanti? Meglio da scarti
Aumenti di consumi che interesseranno anche l’Italia. Eni, il principale produttore di biocarburanti continuerà a produrre biodiesel da olio di palma fino al 2023, sostituendolo con olio di frittura “e altri oli vegetali”. “Il sospetto è che l’olio di palma venga sostituito dalla soia e dai sottoprodotti come Pome e Pfad”, spiega Andrea Poggio, responsabile trasporti di Legambiente e promotore della campagna #unpienodipalle. “Come sottolinea il report, questo avrebbe impatti sul clima ancora più forti del petrolio, mentre le compagnie aeree potrebbero conteggiare le riduzioni di emissioni nei loro bilanci di CO2 usando biocarburanti supposti ‘verdi'”.
Oltre alla cancellazione dei sussidi le associazioni ambientaliste chiedano che tutti i biofuel di origine vegetale con un elevato impatto sulle foreste e derivati vengano messi gradualmente fuori dal mercato. “Le compagnie aeree devono concentrare la propria attenzione su biocarburanti derivanti da scarti e residui di produzione – conclude Poggio –, altrimenti la cura potrebbe essere meglio della malattia”.
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