No, la Commissione europea non ha aperto al futuro dei biocarburanti nel settore mobilità come chiesto dall’Italia. Lo afferma il portavoce della Commissione per l’energia Tim McPhie, replicando alle dichiarazioni rilasciate dalla commissaria estone Kadri Simson, che il governo italiano ha prontamente rilanciato come un sostegno ai biocarburanti.
Si potrà ancora investire sui biocarburanti, questo sì, ma non verranno utilizzati nel settore della mobilità. Questo è quanto. Ma cosa sono i biocarburanti? Quali sono i pro e i contro di questa fonte di energia nel settore dell’automotive? E perché se ne parla così tanto adesso?
Partiamo dall’ultima domanda. Di recente, il Parlamento europeo ha decretato lo stop alla vendita di auto nuove con motore endotermico, cioè a combustione, dal 2035 in poi. Subito Germania e Italia (insieme a Polonia e Bulgaria) hanno protestato, sostenendo che tale divieto avrebbe portato al fallimento il settore dell’auto e tutto il suo indotto.
L’asse italo-tedesco è durato poco, dal momento che la Germania ha ottenuto quello che chiedeva, ovvero una deroga per gli e-fuels, i cosiddetti carburanti sintetici, salvando di fatto il motore termico (poiché può funzionare anche con questi carburanti alternativi) ma escludendo tutti gli altri tipi di combustibile, come i biocarburanti richiesti appunti dall’Italia.
Cosa sono e quali sono gli svantaggi dei biocarburanti
I biocarburanti sono combustibili ottenuti dalle biomasse, inclusi rifiuti e sottoprodotti e possono avere anche forma gassosa. Un esempio è rappresentato dal biometano, già presente in alcuni punti di rifornimento in Italia. Si dividono in biocarburanti di prima generazione, nel caso di prodotti derivanti da materie agricole, potenzialmente utilizzabili a fini alimentari. Nel caso di biocarburanti avanzati, invece, parliamo di carburanti ottenuti partendo da biomasse non più utilizzabili per l’alimentazione umana o animale.
A parte il fatto che tanto i biocarburanti quanto gli e-fuels presentano valori emissivi di particolato (pm) e ossidi di azoto (NOx) del tutto simili a quelli prodotti dalla benzina, l’utilizzo di biocarburanti e carburanti sintetici, in veicoli con motore a combustione, è una soluzione fino a quasi 5 volte meno efficiente, in termini di consumi energetici, rispetto alle
prestazioni dei veicoli elettrici a batteria.
EU institutions FAILED to rapidly phase out deforestation-driving palm & soy #biofuels.
The final #REDII deal for the future energy mix is a disaster for our forests.
The Commission can salvage it via the revision of rules on high deforestation risk feedstocks later this year. pic.twitter.com/3gQm8I8Hv7
“Combustibili di questo tipo sono sprecati nelle auto, vanno piuttosto utilizzati per decarbonizzare aerei e navi“, si legge in un recente report pubblicato dall’ong Transport&Environment (T&E). Questo implica che i veicoli alimentati con biocarburanti (come peraltro quelli alimentati a carburanti sintetici) richiedano una quota di energia nettamente superiore, emettendo perciò potenzialmente molta più CO2 dei veicoli elettrici. Così, la maggiore efficienza dei veicoli a batteria fa sì che essi, già oggi, riducano le emissioni di CO2 – lungo il ciclo di vita – del 69 per cento rispetto ai veicoli a benzina.
In merito ai biocarburanti, quelli da colture dedicate producono fino a tre volte le emissioni del diesel tradizionale che dovrebbero sostituire; inoltre, a parità di output energetico, la loro produzione richiede un consumo di suolo 40 volte superiore rispetto al fotovoltaico, con cui si può alimentare la batteria di un veicolo elettrico. Quelli avanzati e quelli prodotti da rifiuti e residui dipendono ampiamente dall’importazione di tali materie prime da paesi extra-europei e raggiungono volumi di produzione molto limitati. Oggi, il loro uso in purezza, permetterebbe di alimentare appena il 5 per cento del veicoli circolanti in Italia.
Perché non puntare sull’idrogeno verde?
Come fa notare ancora T&E, piuttosto che investire nel biocarburante avrebbe più senso convertire gli impianti esistenti nella produzione di idrogeno verde, cioè prodotto a partire da fonti di energia rinnovabile. Dato che il futuro dei biocombustibili è molto incerto, mentre su quello dell’idrogeno si sta investendo parecchio, avrebbe più senso concentrare gli sforzi sulla fonte più promettente e fondamentale per produrre gli e-fuels necessari a decarbonizzare i settori hard to abate, ossia aereo e navale di lunga percorrenza. E invece si sta facendo esattamente il contrario.
Gli investimenti in biocarburante sono otto volte maggiori rispetto a quelli in idrogeno verde. Così, mentre dal 2035 in poi, per via dello stop ai motori a combustibili fossili, il petrolio perderà investimenti a un ritmo del 5 per cento l’anno rispetto ai livelli attuali, le raffinerie avranno sempre più bisogno di convertirsi verso prodotti alternativi. Dei 39 miliardi che gli impianti di raffinazione intendono investire da qui al 2030 in carburanti alternativi, il 75 per cento andrebbe nei biocarburanti. Di questi, dai 2 ai 3 miliardi sarebbero concentrati nella produzione di olio vegetale idrotrattato (hydrotreated vegetable oil, Hvo), un biodiesel ottenuto da oli vegetali e grassi di scarto. Si tratta di un investimento 4 volte superiore di quanto si possa ottenere in modo sostenibile, secondo l’analisi di T&E, che porterà a problematiche importazioni, soprattutto dal punto di vista della sostenibilità, di olio usato e grassi animali.
Le raffinerie di petrolio sono anche le maggiori produttrici nonché utilizzatrici di idrogeno (secondo un rapporto dell’Agenzia internazionale per l’energia, oggi il 33 per cento dell’idrogeno prodotto a livello globale viene usato nelle raffinerie per produrre combustibili fossili), che viene definito “nero” quando prodotto da combustibili fossili quali carbone e petrolio, “grigio” se da metano o altri idrocarburi. Le stesse raffinerie stanno investendo complessivamente 6,5 miliardi di dollari per trasformare l’idrogeno da nero o grigio a “blu”, ovvero catturando e stoccando la CO2 prodotta. Il doppio rispetto a quanto le stesse stanno investendo in idrogeno verde o in e-fuels.
I 5 milioni di tonnellate di Hvo che Eni intende produrre e commercializzare al 2030, potrebbero alimentare al massimo 6,9 milioni di veicoli del parco circolante italiano (il 20 per cento). Con la stessa energia prodotta da questi combustibili, e a parità di chilometraggio, l’elettrificazione diretta permetterebbe di alimentare 24 milioni di veicoli elettrici al 2030 (70 per cento circa del parco circolante italiano), lasciando che i limitati volumi di biocarburanti sostenibili vengano utilizzati per decarbonizzare i settori hard to abate (cioè le cui emissioni sono difficili da abbattere), come navi e aerei. “Impiegare i biocarburanti nel settore stradale metterebbe a rischio la decarbonizzazione di altre modalità di trasporto e, complessivamente, il raggiungimento degli obiettivi fissati dal Green deal europeo“, chiarisce T&E.
“Credo che la risposta alla domanda perché se ne parla ora? stia in larga parte negli interessi industriali di Eni, in particolare riguardo al suo carburante Hvo e in generale all’impegno dell’azienda sui biofuel” ci spiega Andrea Boraschi, direttore di T&E Italia. “Non credo sia l’unico motivo, ma certamente concorre alla linea che l’Italia tiene in Europa. Ma quelli dell’Eni non sono gli unici interessi industriali che dovremmo promuovere. Apparentemente nessuno si è accorto che oggi, di tutte le auto che si fanno in Italia, una su quattro è elettrica. E che gran parte della nostra industria componentistica è agganciata ad aziende estere che hanno obiettivi di elettrificazione delle loro flotte chiarissimi. Servirebbero più realismo e visione industriale”.
Infatti, come ci spiega ancora il direttore di T&E, le opzioni energetiche e tecnologiche per proteggere il clima si dovrebbero sempre misurare con l’industria e il mercato. In questo senso, le case automobilistiche hanno già annunciato la totale elettrificazione delle proprie produzioni, in Europa, spesso ben prima del 2035. A oggi, infatti, si contano almeno 1200 miliardi di dollari di investimenti nella conversione all’elettrico dell’automotive. In altre parole l’industria si è mossa da tempo e in direzione dell’auto elettrica. “Salvare a tutti i costi il principio della neutralità tecnologica, spesso sbiandierata nel nostro paese, neutralità che non premia tecnologie e vettori energetici a maggior efficienza, con sufficiente potenziale industriale e con minori emissioni, va pertanto a scapito dello sviluppo economico e occupazione, nazionale ed europeo” è la conclusione di T&E.
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