Per la presidente di Federbio Mammuccini, alcuni disagi degli agricoltori sono oggettivi e comprensibili, ma le proteste contro il Green deal sono inammissibili.
Biologico, la crescita non si ferma (e ora riguarda anche la carne)
In Italia, nel 2016, sono aumentate di oltre il 20 per cento le superfici coltivate a biologico e le aziende che si sono convertite a questo metodo produttivo. Cresce anche la produzione bio di carne, soprattutto bovini e suini, e l’interesse dei consumatori per vini e oli biologici.
Non solo un trend passeggero. Quello del cibo biologico è un fenomeno che perdura e cresce nel tempo, una scelta che fanno sempre più aziende dell’agroalimentare e sempre più italiani quando fanno la spesa. E ora la crescita si registra non solo principalmente per cereali, frutta e verdura, ma anche per la carne.
2016: crescita senza precedenti
L’incremento registrato nell’ultimo anno non ha precedenti: secondo i dati elaborati nell’ultimo rapporto del Sinab, progetto del Ministero gestito da ISMEA e CIHEAM IAMB, nel 2016 le superfici coltivate con agricoltura biologica in Italia hanno raggiunto quota 1.795.650 ettari che si traducono in una crescita del 20,3 per cento rispetto all’anno precedente. In termini assoluti, nell’ultimo anno, sono stati convertiti al biologico oltre 300 mila ettari: i principali orientamenti produttivi riguardano colture foraggere, pascoli, cerali, poi ortaggi, vite, olivo. E sono Sicilia, Puglia e Calabria a detenere insieme il 46 per cento dell’intera superficie biologica nazionale.
Biologico, meglio il Sud che il Nord
Per quanto riguarda le aziende che hanno scelto il biologico i numeri parlano di 72.154 operatori certificati a fine 2016, anno in cui sono state 12.195 le imprese che hanno deciso di convertirsi a questo metodo di produzione, con un aumento del 20,3 per cento rispetto al 2015. Anche in questo caso, oltre la metà degli operatori si concentra in Sicilia, Calabria, Puglia e Toscana. Complessivamente le aziende agricole biologiche in Italia rappresentano il 4,4 per cento delle aziende agricole totali, quasi un punto percentuale in più rispetto all’anno 2015. Ogni 100 aziende, 5 sono biologiche nel Centro, Sud e Isole mentre nel Nord del Paese le aziende biologiche sono 3.
Aumentano anche gli allevamenti biologici
E le produzioni animali? Anche il comparto zootecnico registra percentuali in aumento sul biologico. La crescita maggiore si registra per bovini (+24,3 per cento) e suini (+ 13,3 per cento); buono anche l’incremento per i caprini (+ 13 per cento), il pollame (+ 12,3 per cento) e gli equini (+ 9,4 per cento). Si legge nel rapporto: “La consistente conversione verso il biologico registrata per la zootecnia deriva da un lato dallo sviluppo del mercato del biologico, che richiede sempre di più prodotti lattiero-caseari, e, dall’altro, da un momento particolarmente complesso dei prezzi sul mercato dei prodotti convenzionali del comparto animale”. Più carne e derivati biologici significa più allevamenti biologici e dunque standard più alti per quanto riguarda il benessere animale, dall’alimentazione che vieta mangimi ogm agli interventi di migliorie sulle stalle al divieto di alcune pratiche come le mutilazioni.
Le vendite del bio
Per quanto riguarda invece le vendite di cibo biologico nella grande distribuzione, i primi mesi del 2017 confermano la tendenza del 2016 che aveva evidenziato una crescita del 20 per cento sull’anno precedente. L’incidenza dei prodotti biologici venduti sul totale dell’agroalimentare pari, nel 2016, a circa il 3 per cento è infatti in costante aumento. Nel primo semestre 2017 le vendite dei derivati dei cereali, della frutta, degli ortaggi e dei latticini biologici portano tutte un segno più e rappresentano da sole il 68 per cento delle vendite di prodotti biologici. Aumenta l’interesse per vini e spumanti bio (+109,9 per cento) e delle carni fresche e trasformate (+85,1 per cento), nonché per oli e grassi vegetali. E cresce la vendita di uova bio rispetto alle percentuali di vendita di quelle tradizionali, mentre si assiste a un arresto per il miele che può essere ricondotto sia all’aumento di altri dolcificanti ritenuti altrettanto salutari, sia a fattori congiunturali di altra natura che non hanno avuto le stesse ripercussioni sul prodotto non certificato.
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