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Biossido di titanio, la sostanza nelle creme solari che la lobby della chimica non vuole indicare in etichetta
Il biossido di titanio si trova in cosmetici, creme solari, vernici e alimenti. Secondo lo Iarc si tratta di un “possibile cancerogeno” se inalato. Ma le lobby dell’industria non lo vogliono indicare in etichetta.
La lobby dell’industria chimica sta spendendo milioni di euro per influenzare un’imminente decisone da parte dell’Unione europea per evitare che in etichetta venga indicata la presenza di biossido di titanio, che si trova soprattutto nelle creme solari, e che questo venga classificato come “sospetto cancerogeno“. La denuncia arriva da Corporate europe observatory (Ceo), gruppo di ricerca che vigila sulla trasparenza in Europa.
Che cos’è il biossido di titanio
Il biossido di titanio è un composto chimico dall’effetto sbiancante usato in prodotti per la protezione solare come ad esempio le creme, in quelli alimentari come le caramelle, nelle plastiche, nei dentifrici, in vernici e in molti altri prodotti. Nel 2006 l’Agenzia internazionale per la ricerca sul cancro (Iarc) lo ha dichiarato “possibile cancerogeno per gli esseri umani“, se inalato. In particolare le nanoparticelle di biossido possono accumularsi nei tessuti e avere effetti collaterali sulle membrane delle cellule umane.
Con l’introduzione del Reach (Registration, evaluation, authorisation and restriction of chemicals), il regolamento che mira a identificare per ogni sostanza chimica il grado di pericolosità, ecco che i 28 paesi dell’Ue dovranno esprimersi sul biossido di titanio e dovranno farlo prevedibilmente entro la fine di settembre. Il rischio – per le aziende produttrici naturalmente – è quello che se il composto dovesse essere definito “sospetto cancerogeno” diventi obbligatoria la sua indicazione in etichetta dei prodotti che ne fanno uso.
Per questo motivo, secondo il Ceo, le aziende produttrici hanno ingaggiato un’agenzia di lobby per fare pressioni sulla commissione di esperti e influenzare la decisione finale. La lobby di riferimento si chiama Titanium dioxide manufacturers association (Tdma), cioè l’associazione che riunisce i produttori di biossido di titanio, e non è presente nel registro per la trasparenza istituito dalla Commissione europea, ovvero nella banca dati che elenca tutte quelle organizzazioni che cercano di influenzare il processo legislativo e l’attuazione delle politiche delle istituzioni europee.
La lobby del biossido di titanio
Della Tdma fanno parte diverse aziende produttrici di biossido di titanio tra cui la slovena Cinkarna Celje, la tedesca Evonik – che dichiara di spendere quasi due milioni di euro l’anno in attività di lobbying – la statunitense Venator, che ha sedi anche in Polonia e in Repubblica Ceca, e il produttore numero due al mondo, la Cristal, che ha sedi in Gran Bretagna, Francia e Belgio.
Un funzionario dell’Unione europea, citato in un articolo del sito Politico di maggio, ha parlato di una “pressione ben organizzata” proveniente dal mondo dell’industria. “Ci sono sempre state attività di lobbying, ma quella che si è creata attorno a questa sostanza è particolarmente pesante”, ha aggiunto. Intanto, quando un funzionario del ministero dell’ambiente di uno degli stati membri ha accettato di incontrare l’industria per discutere del biossido di titanio si sono presentate almeno 24 persone nel suo ufficio, secondo quanto riportato dal quotidiano francese Le Monde.
La richiesta più incessante è quella di “mettere in attesa” la classificazione di biossido di titanio, “fino a quando non ci saranno informazioni più aggiornate”, Ceo ha potuto appurare dalle lettere e dagli allegati inviati dalla Tdma ai funzionari degli stati membri. Una lettera dice anche che la Tdma ha istituito “un serio programma scientifico da 14 milioni di euro che costruirà le basi scientifiche per aiutare a discutere e risolvere le molte questioni” intorno a questa sostanza. Secondo Ceo è fin troppo chiaro che si stiano spendendo milioni di euro per influenzare la decisione degli esperti dal momento che lo studio non è stato affidato ad alcun organo indipendente.
Il presidente della Tdma è Robert Bird, membro della società Venator, e il suo nome e la sua firma sono sulla lettera inviata ai funzionari degli stati membri prima citata. Come la Tdma, nemmeno la Venator compare nel registro delle lobby dell’Unione europea, come d’altronde neanche Cinkarna Celje e Cristal. Se nessuna di queste società è presente nel registro significa che non può intervenire in alcun gruppo di esperti della Commissione e nemmeno incontrare i commissari o i loro gabinetti. Eppure la Tdma era presente a un incontro per il Reach in aprile tramite un’altra organizzazione lobbista, Cefic, il European chemical industry council (il consiglio europeo dell’industria chimica) – incontro a cui non è stata invitata alcuna ong.
La galassia delle lobby
Dunque, la Tdma non agisce da sola. Il Cefic fa parte della galassia lobbista che agisce intorno alle istituzioni europee e con cui l’associazione che riunisce i produttori di biossido di titanio è in stretta collaborazione. Un esempio di questo intreccio risale all’anno scorso: la Tdma ha versato circa 500mila euro alla più grande società di lobbying di Bruxelles, Fleishman-Hillard, tra i cui clienti troviamo Monsanto, ExxonMobil e ovviamente il Cefic, come riferisce LobbyFacts, piattaforma per la diffusione di dati sulle lobby. Del consiglio dell’industria chimica fanno parte, tra l’altro, varie aziende attive nel settore dei pesticidi (Crop Life) e aziende chimiche che producono Bpa (bisfenolo A), già vietato in oggetti di plastica per bambini. La Tdma condivide gli uffici con le altre aziende del gruppo Cefic, per esempio con PlasticsEurope, altro importante gruppo di pressione.
A differenza della Tdma, il Cefic è iscritto al registro delle lobby. Questo permette di capirne le dimensioni: 41 milioni di euro di budget, 150 dipendenti, 27 tessere di accesso al Parlamento europeo e 70 riunioni con personale di alto livello della Commissione europea. Si è guadagnato la posizione di “osservatore”, quindi con possibilità di intervenire durante i numerosi incontri fra gruppi di esperti in Commissione, tra cui quelli che hanno lavorato al Reach.
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La Francia ostacolata
Il gruppo di lavoro Reach prenderà una decisione sulla classificazione del biossido di titanio nel corso della riunione che terrà a settembre. Intanto alcuni stati hanno già detto la loro: tra questi la Francia che a inizio anno ne ha vietato l’utilizzo negli alimenti. Da sempre in prima linea nelle richieste di regolamentazione del biossido di titanio, è anche tra gli stati membri che hanno implementato sistemi propri di tracciabilità nell’ambito delle nanotecnologie: nel 2017 la valutazione scientifica del governo francese ha rilevato che le nanoparticelle di biossido di titanio sono cancerogene per inalazione. Ovviamente la Tdma si è opposta a questa conclusione.
L’Agenzia europea per le sostanze chimiche (Echa) – che ha avviato una consultazione sulla possibile classificazione del biossido di titanio ricevendo oltre 500 risposte, quasi tutte contrarie e provenienti dall’industria – ha deciso di sostenere ampiamente la Francia, ma ha proposto di classificarlo come “sospetto cancerogeno”, invece che come cancerogeno definitivo. Sebbene non sia la stessa cosa, già si tratterebbe di un passo avanti: secondo l’ente il biossido di titanio dovrebbe indicato sulle etichette, anche se limitatamente ai cosmetici.
La proposta della Francia ha trovato altri oppositori. Alcune raccomandazioni sono arrivate dalla Slovenia e dal Regno Unito, le quali hanno proposto ulteriori attenuazioni. Per i due stati andrebbero escluse dalla classificazione le forme liquide di biossido di titanio, evitando così l’obbligo della dicitura in etichetta per le creme solari e le vernici, ad esempio. Forse non è un caso che due grandi società della Tdma provengano proprio da questi stati.
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