Le immagini satellitari mostrano fitte macchie rossastre sulla superficie lussureggiante della foresta. Sono le ferite della Bolivia che brucia, oggi mai nelle ultime settimane. Gli incendi sul territorio del paese sudamericano si stanno espandendo a vista d’occhio, inghiottendo aree selvatiche e tantissimi terreni agricoli.
Bolivia, già bruciata una superficie grande come l’Umbria
Da agosto la Bolivia brucia a un ritmo impressionante. Rispetto a due settimane fa il territorio andato in fumo si è triplicato. Secondo un report pubblicato dal governo e ripreso tre giorni fa dal capo della Protezione civile Juan Carlos Calvimontes: “Al 10 dicembre sono stati 854.724 gli ettari di territorio bruciati nel paese“. Un’area pari alla superficie dell’Umbria. Il 27 agosto Calvimontes aveva reso noto che gli incendi causati dall’espandersi delle fiamme in aree riservate all’agricoltura avevano colpito quasi 300mila ettari. Il ministro ha comunque precisato che le ultime due settimane hanno fatto registrare un riduzione di incendi di matrice dolosa. L’affermazione di Calvimontes escluderebbe quindi la pratica dello slash and burn farming. Conosciuto comunemente come “debbio”, questa tecnica molto diffusa nei sistemi agricoli tradizionali consiste nel dare fuoco alla vegetazione non utile all’uomo o agli scarti dell’agricoltura per fertilizzare il terreno. Si tratta di un sistema a basso costo molto diffuso nel Sudamerica, che però rischia di essere letale per interi ecosistemi, poiché le fiamme diventano molto difficili da gestire una volta appiccato l’incendio.
Oltre ai tanti territori agricoli sottratti alla foresta che oggi stanno bruciando causando danni ingenti all’economia locale, restano le foreste e soprattutto chi le abita le principali vittime delle fiamme. Pochi giorni fa ha fatto il giro del mondo un video che ritraeva un cucciolo di bradipo che riabbracciava la madre dopo che i due erano stati separati durante un’operazione di salvataggio da parte degli agenti forestali. I due animali sono stati trasferiti dalla Bolivia a Trinidad e Tobago, che si è detta disponibile a ricevere le specie in fuga dall’Amazzonia in fiamme. La minaccia per gli animali riporta alla memoria gli incendi del 2019, quando gli le fiamme distrussero la vegetazione nella valle di Tucavaca, una riserva nel dipartimento di Santa Cruz. In quell’occasione morirono oltre due milioni di animali, inclusi giaguari, lama e puma.
Dal 2019 gli incendi stanno tenendo sotto scacco il territorio del paese, distruggendo milioni di ettari di territorio. In quell’anno bruciarono quasi 6 milioni di ettari di terreno. Nel 2020, invece, il bilancio finale è stato di 4 milioni di ettari, molti dei quali localizzati intorno regione del Pantanal, la più grande zona umida al mondo.
Anche il 2021 è stato contrassegnato da eventi distruttivi su vasta scala. All’inizio dell’anno i funzionari boliviani hanno stimato che gli incendi abbiano distrutto nel dipartimento boliviano di Santa Cruz un’area grande due volte la Giamaica. Gli incendi forestali costituiscono una minaccia aperta non solo per gli animali, ma anche per la comunità indigena degli Ayoreo che abita quegli ecosistemi in aree protette.
Per il momento il governo ha dichiarato che continuerà a lavorare per garantire che la devastazione di foreste e pascoli non superi i 1,5 milioni di ettari entro la fine dell’anno. Un obiettivo che suona già di per sé come una sconfitta, ma non è per nulla scontato che questa possa, alla fine, rivelare uno scenario ancora più drammatico.
Il 29 ottobre 2018, le raffiche di vento della tempesta Vaia hanno raso al suolo 40 milioni di alberi in Triveneto. Una distruzione a cui si sono aggiunti gli effetti del bostrico, che però hanno trovato una comunità resiliente.
Continua ad aumentare il numero di sfollati nel mondo: 120 milioni, di cui un terzo sono rifugiati. Siria, Venezuela, Gaza, Myanmar le crisi più gravi.
Alcune buone notizie e qualche passo indietro nelle misure previste dal nuovo provvedimento del Consiglio dei ministri, in attesa del testo definitivo.