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Il governo vara un decreto per aiutare le famiglie più fragili contro il caro bollette. Ma manca il disaccoppiamento dei prezzi di gas ed elettricità.
Da qualche mese le bollette delle famiglie italiane sono tornate alle stelle, soprattutto quelle del gas, un po’ come era successo nei primi tempi dell’invasione russa ai danni dell’Ucraina, quando le prime sanzioni emesse dall’Unione europea avevano di fatto chiuso i rubinetti del gas russo. Così la scorsa settimana il consiglio dei Ministri ha approvato un decreto legge con misure urgenti per sostenere famiglie e imprese di fronte ai costi energetici: un provvedimento che prevede uno stanziamento di circa 3 miliardi di euro. Ma che non prevede una misura sulla carta molto semplice da applicare ed estremamente efficace, già adottata da altri paesi europei: il disaccoppiamento dei prezzi di elettricità e gas.
Tra le principali misure introdotte c’è un bonus energia per le famiglie, un contributo straordinario di 200 euro nel secondo trimestre 2025 per chi ha un Isee fino a 25mila euro. Per quanto riguarda le imprese, invece, ci sono 600 milioni per il Fondo per la transizione energetica nel settore industriale e altri 600 milioni per l’azzeramento di alcuni oneri di sistema per le piccole e medie imprese. Inoltre, viene introdotto un meccanismo di controllo dei rincari, per reinvestire eventuale maggior gettito Iva (aumentata dal 4,76 per cento al 18,03 per cento tra il 2023 e il 2024) in sostegni per famiglie e microimprese vulnerabili. Aumentano, infine, le tutele per i clienti più vulnerabili, con la proroga delle forniture garantite per chi non sceglie un fornitore nel mercato libero. Misure giudicate insufficienti dalle opposizioni in Parlamento, intanto perché limitate soltanto a un periodo di tre mesi. E poi perché non sono previste nuove tassazioni sugli extraprofitti delle società energetiche, quel surplus di ricchezza generata dall’aumento sproposito dei prezzi. Senza contare che il decreto viene finanziato anche con taglia alla ricerca e ad altri bonus sociali.
Torniamo al tema “disaccoppiamento”. In Italia – come in molti altri Paesi europei – il prezzo dell’elettricità sul mercato all’ingrosso è stato a lungo determinato dal costo del gas naturale. Questo perché molte centrali elettriche utilizzano il gas per generare energia e, nel sistema del marginal pricing (o prezzo marginale), il prezzo finale dell’elettricità viene fissato dalla fonte più costosa necessaria per coprire la domanda. Spesso, questa fonte è proprio il gas.
Nell’ultimo anno, il prezzo medio all’ingrosso dell’elettricità in Italia, il Prezzo unico nazionale (Pun) calcolato sul Mercato del giorno prima (Mgp) della Borsa elettrica, ha raggiunto i 108,52 euro al MWh e continua a salire. A spingere l’aumento è, ancora una volta, il costo del gas. Nulla di inatteso: già Mario Draghi, ex-presidente del consiglio italiano, nel suo rapporto europeo sulla competitività ha scritto che “nel 2022, nel pieno della crisi energetica, il gas naturale ha determinato il prezzo dell’elettricità per il 63 per cento del tempo, pur coprendo solo il 20 per cento del mix elettrico dell’Ue”. In Italia, il legame è ancora più stretto: il gas incide circa per il 90 per cento nella formazione del prezzo, nonostante rappresenti solo il 40 per cento del mix energetico nazionale.
Con l’aumento dell’installazione delle fonti rinnovabili si è cominciato a parlare di “disaccoppiamento” tra prezzo dell’elettricità e prezzo del gas. I dati parlano chiaro: anche per il 2025, il costo dell’energia da fonti rinnovabili continuerà a diminuire. Eppure, le bollette degli italiani continuano a salire: un paradosso. La transizione energetica sarebbe più conveniente per i consumatori, ma le bollette continuano a essere vincolate al prezzo dei combustibili fossili, sempre più cari.
L’Italia, in particolare, ha le bollette più alte d’Europa: il mese di gennaio si è chiuso con un prezzo medio all’ingrosso dell’elettricità in Italia di 143 euro al MWh, in crescita rispetto alla media dei mesi precedenti. Un anno fa, a gennaio 2024, la media mensile era di 99 euro al MWh: l’aumento rispetto ad allora è del 44 per cento. Comparando le medie di gennaio 2025, il nostro Paese registra valori all’ingrosso superiori del 25 per cento rispetto a quelli tedeschi, del 40 rispetto a quelli francesi, del 48 rispetto a quelli spagnoli e addirittura del 226 rispetto a quelli dei paesi della Scandinavia. Un differenziale che è stato una costante negli ultimi 20 anni.
A questo punto viene da chiedersi: è possibile far sì che le bollette costino di meno? Se sì, come? Come detto, prima di tutto il governo dovrebbe svincolare il costo dell’energia dal prezzo del gas (disaccoppiamento). E poi, come hanno già evidenziato sia Arera (Autorità di regolazione per energia reti e ambiente) sia l’Agenzia internazionale per l’energia (Iea), la strategia più efficace per ridurre le bollette sta nel favorire l’installazione di impianti rinnovabili.
L’Italia, addirittura, potrebbe puntare al 100 per cento di energia da rinnovabile nel 2050 e pagare 52 euro al MWh, se solo volesse. A dirlo è la nuova ricerca pubblica da ScienceDirect dai ricercatori italiani Lorenzo Mario Pastore e Livio de Santoli. Lo studio 100% renewable energy Italy: A vision to achieve full energy system decarbonisation by 2050 dimostra la fattibilità tecnica ed economica di un sistema energetico a zero emissioni di CO2 in Italia, pur riconoscendo le sfide della completa decarbonizzazione ma soprattutto sottolineando l’importanza di una pianificazione energetica integrata.
Quello che in Italia sta mancando. Il problema di fondo, infatti, è che mancano gli impianti autorizzati. Nel 2024, l’Italia si è fermata a +7,48 GW contro i circa +12 GW l’anno necessari a traguardare gli obiettivi 2030. Per questo motivo, il 12 febbraio la Commissione europea ha aperto un nuovo avanzamento della procedura d’infrazione contro il nostro Paese per il mancato rispetto della direttiva Red III sull’accelerazione delle procedure di autorizzazione per i progetti di energia rinnovabile. L’Italia dispone ora di due mesi per rispondere e adottare le misure necessarie, trascorsi i quali la Commissione potrà decidere di deferire i casi alla corte di Giustizia.
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