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Il boom di turisti in Antartide mette a rischio il fragile equilibrio del continente
L’Antartide sta diventando sempre più accessibile, tanto che il turismo ha subito un incremento del 53 per cento negli ultimi quattro anni. Tra le ragioni che spingono a visitare il continente ci sono anche i cambiamenti climatici.
Il malsano meccanismo per cui nel giro di quattro anni il turismo in Antartide è aumentato del 53 per cento sfiora il paradossale. Sembra un cane che si morde la coda: i cambiamenti climatici rappresentano una delle ragioni principali del crescente interesse a visitare il continente più a sud del mondo – perché “non sappiamo se davvero la regione resterà magnifica come lo è ora” –, ma allo stesso tempo, le sempre più frequenti ondate di turisti ne mettono a rischio il (già) fragile equilibrio.
Complici di questo trend sono diversi fattori: la maggiore accessibilità, soprattutto in termini economici ma non solo, delle crociere che ogni anno tra novembre e marzo solcano i ghiacci dell’Antartide, il cui numero aumenta costantemente; l’assenza di una regolamentazione comune tra Stati del turismo di massa in questa regione, che viene gestito giorno per giorno dai tour operator stessi; e la crescita esponenziale degli operatori nel settore, dalle agenzie di viaggi agli esperti di marketing. Ma forse sarebbe bene capire, dopo che nella regione sono stati raggiunti i 20,7 gradi centigradi, che l’Antartide va tutelato, non sfruttato.
I numeri del turismo in Antartide
Tutto è cominciato negli anni Cinquanta, quando i turisti che si avventuravano in Antartide si potevano contare sulle dita di due mani: era una meta molto esclusiva e non alla portata di tutti. Le agenzie che offrivano viaggi via mare o via terra erano pochissime. Poi nel ’91 sette tour operator si sono uniti a formare l’International association of Antarctica tour operators (Iaato), con l’obiettivo di promuovere “un turismo sicuro e rispettoso dell’ambiente”, di migliorare la collaborazione tra i suoi membri e di creare tra i viaggiatori un “corpo di ambasciatori” che, al loro ritorno, potessero perorare la causa della conservazione della regione antartica.
Da quel momento i numeri non hanno fatto altro che crescere – ad eccezione di un periodo di stagnazione in concomitanza con la crisi del 2008 –. Secondo i dati della Iaato, siamo passati dai 6.700 turisti nella stagione tra il 1992 e il 1993 ai circa 15mila della fine degli anni Novanta, per arrivare a toccare i 56mila nel 2018-2019. Prima della diffusione del nuovo coronavirus, che sta limitando gli spostamenti in tutto il mondo, le previsioni per la stagione in corso erano di oltre 78.500 visitatori: circa il 40 per cento in più dello scorso anno e più del doppio rispetto a un decennio fa.
A chi appartiene l’Antartide?
Una delle questioni più critiche che riguardano questa regione è il fatto che l’Antartide non appartiene ad alcun Paese, ma è regolamentato dal Trattato antartico, che risale al 1959 e fu firmato da 46 Paesi. L’accordo vieta ogni attività di sfruttamento economico e di tipo militare, sostiene la ricerca scientifica e protegge le ecozone del continente. Ma, proprio perché risale a tempi non sospetti, non dice nulla riguardo al turismo, che di conseguenza è gestito giorno per giorno dai singoli operatori turistici, secondo una serie di regole di buonsenso condivise da tutti. Il rischio è che questo sistema, che ha funzionato in maniera eccellente fin dalla sua ideazione, sia ora diventato anacronistico e non riesca più a far fronte al boom di turisti.
“Il punto è che non ci sono molte regole ferree che regolino il turismo – afferma Claire Christian, direttore esecutivo dell’Antarctic and southern ocean coalition (Asoc), una coalizione globale di organizzazioni non governative, con oltre 150 membri in quaranta Paesi, che ha l’obiettivo di tutelare i territori dell’Antartide e di vigilare sul rispetto del Trattato antartico –. Per il momento, c’è molta buona volontà. Ma non è una garanzia”.
Il boom dei tour operator
Alla crescita della domanda non poteva che fare da contraltare l’incremento dell’offerta. Stando a quanto afferma Lisa Kelly, responsabile delle operations della Iaato, l’Associazione internazionale dei tour operator dell’Antartide ha inglobato in media da due a cinque nuovi membri ogni anno, contando attualmente 46 tour operator, cinque membri provvisori e più di sessanta associati tra agenzie di viaggio, responsabili del marketing e altri che lavorano nel settore senza organizzare tour in prima persona.
“Va a finire che siamo tutti concorrenti – sostiene Bob Simpson, vicepresidente della compagnia di viaggi di lusso Abercrombie & Kent ed ex presidente del comitato esecutivo della Iaato – ma è nel nostro interesse lavorare insieme e cooperare per garantire che questo straordinario luogo sia protetto per le generazioni future”.
Da tenere d’occhio però sono i prezzi, principali leve in un mercato concorrenziale: non stupisce – ma preoccupa – che la Coral princess, crociera con duemila cuccette e un equipaggio di circa novecento persone, abbia sponsorizzato il viaggio in uno dei luoghi più selvaggi e incontaminati della terra a meno di quattromila dollari a persona. Basti pensare che in media il biglietto per una crociera in quella regione costa tre volte tanto. E allora viene da chiedersi: non è che l’Antartide sta rischiando di trasformarsi in una meta troppo gettonata?
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