Le foreste vergini dell’alto corso del fiume Baram, nel Borneo malese, sono parte integrante della cultura delle tribù indigene Penan. Le ruspe del colosso del legname Samling non sono le benvenute. Per ribadire questo concetto, gli indigeni hanno deciso di sbarrare le strade.
La storia degli indigeni Penan nel Borneo malese
I Penan – spiega la ong Survival international – sono cacciatori, raccoglitori e pescatori e vivono da sempre nelle foreste primarie del Sarawak, nell’isola del Borneo. Oggi questo popolo conta circa 10-12mila persone che dipendono in tutto e per tutto dalle risorse della foresta per il loro sostentamento; nonostante ormai siano per lo più stanziali, infatti, arrivano da una storia di nomadismo e tuttora praticano l’agricoltura solo su piccolissima scala. Il problema, sostiene Survival international, nasce dal fatto che il governo del Sarawak non abbia riconosciuto i loro diritti territoriali e abbia promosso lo sfruttamento commerciale del legname nelle loro terre. Più volte, nel corso dei decenni, hanno fatto le barricate per far sentire la propria voce.
I blocchi stradali contro il colosso del legname
Il 9 settembre gli indigeni Penan hanno iniziato il loro primo blocco stradale nel villaggio di Long Ajeng. A partire dal 22 settembre se n’è aggiunto un secondo, a Long Pakan. L’accusa, notificata anche alle forze dell’ordine, è grave: a detta loro, il colosso del legname Samling avrebbe invaso illegalmente le loro terre – ufficialmente designate come aree protette – per disboscarle senza il loro consenso. In aggiunta alle barricate, dodici capi indigeni hanno inviato una lettera congiunta al governo, esortandolo a intervenire. La risposta delle istituzioni, spiegano però alla testata Mongabay, sarebbe stata lenta e poco convinta.
In an attempt to block logging operations by timber company Samling, Penan Indigenous people have erected multiple blockades in Malaysian Borneo’s Baram region, @DeBeaudoir reports: https://t.co/EgP5IMtn3n
Stando alle parole del capo indigeno Pada Jutang, l’azienda avrebbe chiesto il consenso agli abitanti del villaggio soltanto dopo la loro denuncia formale. Un consenso che le sarebbe stato negato. “Non siamo contenti quando l’azienda continua a lavorare perché la foresta svanirà; i prodotti della foresta come sago, rattan, medicine sono difficili da trovare; anche la selvaggina è difficile da cacciare; l’inquinamento dell’acqua e l’erosione del suolo faranno morire i pesci”, afferma. Samling, da parte sua, possiede una licenza per disboscare a Long Pakan, ma fa sapere tramite una nota di aver solo iniziato a trasportare tronchi per costruire un ponte. Le accuse di essersi introdotta nelle terre assegnate agli indigeni, ribatte, sarebbero “calunniose e prive di verità o fondamento”.
Nell’Amazzonia ecuadoriana la tragedia sanitaria rischia di avere conseguenze drammatiche. Il governo non agisce, privilegiando gli interessi estrattivi alla salute delle comunità indigene, che si stanno organizzando per affrontare da soli la pandemia.
Nonostante la diffusione del coronavirus stia interessando anche il Brasile, il New tribes mission ha avviato un progetto di evangelizzazione delle tribù incontattate.
La Corte suprema dell’India potrebbe confermare l’espulsione di quasi 8 milioni di persone che si sono viste rifiutare il riconoscimento dei diritti territoriali.
Dopo un mese di razionamenti, sono stati completati i lavori per la condotta provvisoria che porterà l’acqua dal fiume alla diga di Camastra, ma c’è preoccupazione per i livelli di inquinamento.
Gli indigeni Waorani hanno portato in tribunale il governo dell’Ecuador che voleva vendere 200mila ettari di Amazzonia all’industria petrolifera. Hanno vinto creando un precedente storico per i diritti di tutti i popoli indigeni.
Un gruppo di indiani brasiliani che protegge l’Amazzonia dai taglialegna illegali, ha occupato alcuni uffici governativi per chiedere la protezione delle proprie terre.
In occasione della Giornata mondiale dei popoli indigeni abbiamo scelto alcune delle storie più significative della resistenza dei nativi contro il “progresso”.
In Brasile la situazione per i guaraní, il popolo indigeno più numeroso del Paese, è drammatica, privati delle loro terre ancestrali e assassinati impunemente dai proprietari terrieri.