Le novità introdotte dal governo per contenere la pandemia in Italia, a partire dal green pass rafforzato, o super green pass.
Bovini e cani, possibili alleati nella lotta contro il coronavirus
Vivere a stretto contatto con bovini e cani potrebbe aiutarci a prevenire il coronavirus e mitigarne l’effetto. La ricerca lo dimostra.
Vivere a stretto contatto con bovini e cani può aiutare il nostro organismo nella battaglia contro il coronavirus. Lo ha dimostrato un gruppo di ricerca italiano. Lo studio, i cui risultati sono stati pubblicati sulla rivista scientifica Microbes and infection dell’istituto Pasteur di Parigi, svela importanti somiglianze fra le proteine che innescano la reazione immunitaria nell’uomo e negli animali.
L’indagine si basa sul presupposto che la struttura dei coronavirus è integralmente circondata da proteine che il virus utilizza per individuare le cellule da attaccare e quindi infettare. Tutti i virus di questa categoria possono contare su una “spike protein”, cioè una proteina di “ancoraggio” che entra nella cellula bersaglio, scatenando così le difese immunitarie del soggetto colpito.
Per questo i ricercatori dell’università Magna Graecia di Catanzaro, dell’Università degli studi di Milano e della Cattolica del sacro cuore, insieme al Gruppo di ricerca Covid del professor Andrea Urbani e al professor Maurizio Sanguinetti, presidente della Società europea di malattie infettive e microbiologia clinica, hanno deciso di analizzare genomicamente tali proteine, per cercare similitudini nella risposta immunitaria dell’uomo e di altre specie viventi come i pipistrelli, i pangolini, i cani e i bovini.
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Bovini e cani come scudo protettivo
Una grande somiglianza fra le proteine spike del coronavirus umano e quelle del cane e del bovino ha portato all’ipotesi che l’esposizione a questi animali domestici possa dotarci di difese immunitarie naturali, in grado di attenuare i sintomi di un’eventuale infezione da Covid-19. Nello specifico, i ricercatori hanno trovato percentuali di proteina compatibili al 100 per cento tra cane e uomo, e all’80 per cento tra bovino e uomo.
Nello studio effettuato si è messo in luce che, dal punto di vista proteico (l’ambito in cui si scatena la risposta immunitaria), la convivenza a stretto contatto con bovini e cani può formare nell’uomo una sorta di “scudo protettivo”. “Una predisposizione cioè – hanno spiegato i ricercatori – del sistema immunitario a reagire meglio e prontamente contro una malattia nuova come questa, magari proprio perché l’organismo umano possa essere già stato in passato stimolato dal contatto con altri coronavirus animali simili”.
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Nuove ricerche e diversi sviluppi
Inutile dire che, se queste ipotesi preliminari dovranno essere confermate con i dati sperimentali ed epidemiologici, potrebbero portare in futuro non solo a nuovi trattamenti, ma anche a differenti approcci medici e diagnostici. Il Sars-CoV-2 appartiene alla grande famiglia dei beta-coronavirus che, oltre all’uomo, ha una vasta gamma di ospiti animali (uccelli, cammelli, pipistrelli, topi, cani, gatti, zibetti) e che, nell’arco degli ultimi vent’anni, ha dato luogo ad altre epidemie: quella da Sars dell’inizio del secolo e quella da Mers di una decina di anni fa.
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La suggestiva ipotesi che il contatto ravvicinato con gli animali – nella fattispecie i bovini e i cani che da secoli condividono la vita dell’uomo e le sue attività lavorative – possa essere d’aiuto nel contrastare alcune malattie virali, può fare da preludio a un nuovo modo di vivere, più vicino agli elementi naturali e più sostenibile. La responsabilità dell’attuale pandemia va imputata, infatti, proprio all’operato dell’uomo che sta invadendo ambiti (l’esempio tipico è il celebre mercato di Wuhan), che non dovrebbe contaminare. E, in ultima analisi, solo un rispetto marcato dell’universo che ci circonda potrà salvarci da virus e pandemie, restituendoci il contatto con la natura e i suoi abitanti.
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