La Corte suprema federale del Brasile ha vietato ai missionari religiosi di entrare nelle riserve dei popoli indigeni più isolati. Nel luglio 2020 il presidente Jair Bolsonaro aveva contrastato con una nuova norma i dispositivi di protezione dei popoli originari, che vietano al mondo di fuori i tentativi di contatto con le tribù incontattate per preservarne salute e tradizioni. La nuova sentenza pone un freno importante al tentativo di Bolsonaro di integrare e assimilare le comunità indigene, portato avanti per fini commerciali dall’inizio del suo mandato.
Una lunga storia di proselitismo evangelico
Sono circa 30 anni che i missionari religiosi della Chiesa evangelica fanno proselitismo nelle aree più isolate del Brasile. I popoli indigeni costituiscono una fetta importante della popolazione nazionale e una parte di essi vive ancora in modo quasi o del tutto isolato dal resto della società. Questa loro condizione li ha resi degli obiettivi allettanti agli occhi dei missionari religiosi, che da anni invadono le foreste per portare il loro messaggio alle comunità e cercare di convertirle al loro credo, in quello che è un disegno proselitistico su larga scala, se si pensa che sono coinvolte anche organizzazione evangeliste statunitensi come Ethnos 360.
Dal 1991 al 2018 gli indigeni appartenenti a chiese evangeliche o neo-pentecostali è salito dal 14 per cento al 32 per cento e questo processo ha anche causato divisioni all’interno dei villaggi, o fughe dagli stessi dei convertiti per unirsi al mondo di fuori. Un trend molto interessante agli occhi del nuovo presidente Jair Bolsonaro, che dal suo insediamento nel 2019 è impegnato in un’opera di integrazione e assimilazione delle comunità indigene nella società brasiliana, progetto che nasconde precise mire economiche. La presenza indigena è un freno per le mire del governo sulla foresta, la resistenza alla deforestazione e all’incremento delle attività minerarie nelle aree protette da parte dei popoli originari è molto forte e l’opera di evangelizzazione e di conseguente fuga dalle foreste degli indigeni fa esattamente il gioco di Bolsonaro.
Non è un caso che nel 2020 sia stato nominato a capo del dipartimento per gli Indiani incontattati della Fondazione nazionale dell’Indio, l’ente del governo che si occupa delle questioni indigene, il missionario evangelicoRicardo Lopes Dias. Un atto di guerra alle tribù più isolate e un messaggio chiaro su da che parte stia il presidente nel conflitto culturale tra evangelici e indigeni.
Bolsonaro con i missionari religiosi
A partire dall’avvento della Covid-19 durante la primavera dello scorso anno, il contatto tra le tribù più isolate e il mondo di fuori è stato più frequente. Questo perché il personale sanitario e le organizzazioni non governative sono intervenute per curare i malati, che anche nella foresta sono stati numerosi: uno studio di maggio 2021 conta almeno 620 decessi e 25mila positività nel primo anno di pandemia tra gli indigeni del Brasile.
Tra chi si è infiltrato nella foresta per sfruttare l’appiglio sanitario per fare proselitismo ci sono stati anche i missionari evangelici, in un momento in cui invece più che mai era opportuno isolare da contatti esterni i popoli originari, per la loro maggiore vulnerabilità alle malattie.
Nell’aprile del 2020 un giudice brasiliano ha proibito ai missionari di avvicinarsi alle tribù incontattate della valle Javari, in risposta alla causa intentata da una ong locale. Poco tempo dopo però il presidente Jair Bolsonaro ha approvato una legge federale che consente ai missionari evangelici di recarsi nelle aree protette, di fatto dando il semaforo verde alla prosecuzione di quel proselitismo tanto caro al governo.
Una nuova sentenza a tutela degli indigeni
A esprimersi sulla questione è stata chiamata la Corte suprema federale del Brasile. L’Osservatorio per i diritti umani dei popoli indigeni isolati o recentemente contattati (Opi), l’Articolazione dei popoli indigeni del Brasile (Apib) e il Partito dei lavoratori hanno fatto causa al governo e ora è arrivata la pronuncia del giudice Luis Roberto Barroso.
Via @MongabayLatam: A mais alta corte do Brasil, o Supremo Tribunal Federal (STF), manteve a proibição de missionários entrarem em reservas que abrigam povos indígenas isolados e recentemente contatados durante a pandemia. pic.twitter.com/abHQod92zH
— Centro de Trabalho Indigenista (@cti_indigenismo) October 7, 2021
I missionari religiosi non potranno più entrare nelle aree protette dove si trovano i popoli indigeni incontattati o comunque più isolati, una sentenza che di fatto affossa la legge dello scorso anno del presidente Bolsonaro. Allo stesso tempo però il giudice non ha riconosciuto la possibilità di espellere i missionari che già si trovano sul terreno perché farlo significherebbe introdurre attori terzi con il compito di rintracciarli, con un conseguente aumento del rischio di contatto con le comunità. Inoltre, secondo la Corte manca la prova evidente e comune del fatto che i popoli originari non abbiano dato il loro consenso alla presenza dei missionari nei villaggi.
La sentenza costituisce insomma un passo avanti importante per il riconoscimento dei diritti degli indigeni, che necessita però di accorgimenti futuri visto che migliora la situazione senza risolverla una volta per tutte.
Il partito Sogno georgiano confermato con il 53,9 per cento dei voti. Ma piovono accuse di brogli e interferenze. L’Ue chiede di indagare. Intanto la presidente del Paese invita alla protesta. I vincitori: “Questo è un colpo di Stato”.
Due leggi approvate da Israele a larga maggioranza renderanno di fatto impossibile per l’Unrwa operare a Gaza e in Cisgiordania. La comunità internazionale insorge.
Continua ad aumentare il numero di sfollati nel mondo: 120 milioni, di cui un terzo sono rifugiati. Siria, Venezuela, Gaza, Myanmar le crisi più gravi.
Continua l’assedio israeliano su Gaza nord, dove per l’Onu l’intera popolazione è a rischio morte. Nuovi missili contro l’Iran, mentre in Libano uccisi tre giornalisti.
Dopo tredici anni di conflitto, la crisi umanitaria in Siria è una delle più gravi. Grazie anche al lavoro di WeWorld insieme alla cooperazione italiana, si cerca di dare strumenti agli studenti con disabilità per professionalizzarsi.