Un gruppo di studenti universitari ha raggiunto la città di Kaifeng l’8 novembre dopo cinque ore di viaggio in sella a biciclette in sharing
Bruce Chatwin, il desiderio di essere altrove
Anatomia dell’irrequietezza di uno dei più grandi viaggiatori e avventurieri, Bruce Chatwin, capace di raccontare con acume gli orizzonti naturali e umani.
Le poche fotografie che lo ritraggono mostrano un viso da eterno
ragazzo, magro, con gli occhi azzurri e penetranti, i capelli
biondi, una leggerezza adolescenziale. Spirito irrequieto, errabondo, con
il culto della riservatezza e del silenzio,
Chatwin è stato uno dei grandi e preziosi doni letterari
degli ultimi decenni, capace di raccontare le sue avventure con una
prosa asciutta e incisiva, unica e inimitabile.
Nella sua breve vita ha scrutato attentamente
orizzonti naturali e umani con profondo rispetto e
discrezione. Il nomadismo lo attraeva: per quale ragione, si
chiedeva, i popoli nomadi possiedono la straordinaria
capacità di perdurare anche nelle circostanze più
avverse mentre gli imperi cadono in rovina? Gli parve un soggetto
particolarmente interessante quello di esplorare l’innata
irrequietezza dell’uomo. Peregrinare per
il mondo alla ricerca delle radici storiche
dell’umanità era diventata la filosofia e la
ragione della sua vita, tanto che il tema del viaggio come
metafora della vita, unito all’ ansia di conoscenza, percorre tutta
la sua straordinaria narrativa.
Libri come In Patagonia, Sulla Collina Nera, Il Vicerè di
Quidah, Utz, Che ci faccio qui?,
Le Vie dei Canti sono l’espressione di una
innata sensibilità nell’osservare e ascoltare uomini e
luoghi. Travel-writer per scelta, per fuggire la monotonia e l’agio
della sedentarietà, per dedicarsi ad un’esistenza errante,
Chatwin ha viaggiato in
Sud America, in Asia e in
Australia, annotando minuziosamente e poi fondendo
realtà con fantasia, operando una sintesi tra credenze
popolari, mitologia, realtà e antiche
citazioni filosofiche. I viaggi lunghi e avventurosi
che lo sottraggono al fastidio di essere etichettato secondo
stereotipi di classe, hanno rappresentato per lui un immenso
sollievo che lo ha liberato da ogni pressione sia dall’alto che dal
basso.
Chatwin ha percorso le antiche strade del mondo con la vocazione
tipica del nomade a non modificare a dei luoghi che incontra,
sforzandosi di non
essere ingombrante, senza interferire e sconvolgere,
semplicemente come un timido ospite di passaggio. Tutto nella
prospettiva di una vita senza confini.
Maurizio Torretti
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