Dopo un mese di razionamenti, sono stati completati i lavori per la condotta provvisoria che porterà l’acqua dal fiume alla diga di Camastra, ma c’è preoccupazione per i livelli di inquinamento.
Il buco dell’ozono si sta chiudendo. L’ecologia paga
Gli ultimi dati relativi al buco dell’ozono indicano un netto miglioramento rispetto al 2000. Dipeso dalle decisioni ecologiste prese trent’anni fa.
Buone notizie per il pianeta Terra. Il buco dell’ozono al di sopra della regione antartica, causato in buona parte dalle attività inquinanti dell’uomo, sta proseguendo il proprio riassorbimento. A spiegarlo sono le ultime analisi degli scienziati, che sottolineano come le misure adottate attraverso il Protocollo di Montreal del 1987 stiano portando i loro frutti.
Recuperati 4 milioni di chilometri quadrati
Il buco nel “cuscino protettivo” del nostro pianeta, che si estende tra venti e quaranta chilometri di altitudine rispetto alla superficie terrestre e che assorbe la maggior parte dei raggi ultravioletti pericolosi per gli organismi viventi, risulta infatti diminuito di più di quattro milioni di chilometri quadrati rispetto ai rilevamenti effettuati nel 2000.
La conferma è contenuta in uno studio pubblicato dalla rivista americana Science, effettuato nel corso del mese di settembre del 2015, nel quale si sottolineano le dimensioni del fenomeno: la porzione di strato di ozono “recuperata” negli ultimi quindici anni è pari alla superficie degli Stati Uniti.
“Possiamo dire che, globalmente, il buco dell’ozono sembra sulla via della guarigione”, hanno affermato gli scienziati autori del report. E ciò grazie al fatto che la concentrazione di clorofluorocarburi (Cfc) legati ad attività antropiche nell’atmosfera risulta in diminuzione del 10-15 per cento rispetto ai picchi dei primi anni Novanta. Un dato confermato anche dall’ultimo rapporto quadriennale curato dall’Organizzazione Meteorologica Mondiale e dal Programma delle Nazioni Unite per l’Ambiente.
La spinta decisiva del Protocollo di Montreal
Il Protocollo di Montreal prevedeva infatti l’introduzione di divieti progressivi all’uso dei gas Cfc, fino a quel momento largamente utilizzati nei sistemi di climatizzazione, di refrigerazione, così come in numerosi processi industriali. Secondo Susan Solomon, docente di Chimica e di Scienze climatiche presso il Massachusetts, Institute of Technology (Mit), “l’adozione di tale trattato consentirà all’umanità di evitare due milioni di tumori della pelle all’anno di qui al 2030, nonché numerosi danni agli occhi e ai sistemi immunitari. E ci permetterà di proteggere la fauna e l’agricoltura”.
Immagine di apertura: ©Michel Setboun/Corbis via Getty Images
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