Il buco dell’ozono presente al di sopra dell’Antartico si è chiuso alla fine di dicembre. Ad annunciarlo è stata l’Organizzazione meteorologica mondiale (Omm), secondo la quale la buona dinamica è stata però possibile grazie grazie ad una serie di circostanze meteorologiche favorevoli. Nonostante nell’atmosfera siano ancora presenti sostanze che distruggono l’ozono.
#ICYMI: Large, deep and long-lived 2020 #Antarctic#ozone finally closed in late Dec. Record-breaking season (also in the Arctic) due to meteorological conditions and continued ozone eating chemicals in the atmosphere. Contrast to small 2019 ozone holehttps://t.co/H3cS5VMbtQpic.twitter.com/6sXeERyOTB
A settembre del 2020 il buco dell’ozono misurava 24,8 milioni di km quadrati
Lo stesso organismo delle Nazioni Unite, infatti, ha ricordato che il buco sopra l’Antartico a partire dalla metà di agosto dello scorso anno aveva cominciato ad allargarsi rapidamente. Ed era arrivato a un’estensione di 24,8 milioni di chilometri quadrati al picco massimo, raggiunto il 20 settembre.
Si è trattato di uno dei più grandi buchi mai registrati negli ultimi 40 anni, ovvero da quando lo strato di ozono ha cominciato ad essere monitorato con regolarità. Al contempo, è stato anche uno dei più tenaci, grazie ad un vortice polare stabile e a temperature molto basse nella stratosfera. Esattamente come era accaduto nel corso del 2020 al buco dell’ozono da record che era stato registrato al di sopra del Polo Nord.
“Occorre un’azione internazionale continua”
La chiusura rappresenta un’ottima notizia per il Pianeta, dal momento lo strato di ozono, situato ad un’altitudine compresa tra 10 e 40 chilometri, ci protegge dagli effetti nocivi dei raggi ultravioletti provenienti dal sole. Nel 2019, il fenomeno era stato decisamente meno ampio: “Le ultime due stagioni del buco dell’ozono dimostrano la sua variabilità di anno in anno e migliorano la nostra comprensione dei fattori responsabili della sua formazione, estensione e gravità”, ha affermato Oksana Tarasova, capo della divisione di ricerca sull’ambiente atmosferico dell’Omm.
“Abbiamo bisogno di un’azione internazionale continua – ha aggiunto – per continuare ad applicare il protocollo di Montreal”. Quest’ultimo fu firmato nel 1987, e ha rappresentato uno dei primi successi congiunti, da parte dei governi, in tema di tutela dell’ambiente.
Grazie al Protocollo di Montréal abbiamo ritardato di 15 anni uno degli effetti più gravi del riscaldamento globale: la fusione totale dei ghiacci artici.
Il buco dell’ozono si sta chiudendo. Un risultato ottenuto grazie alla cooperazione tra stati e l’applicazione di accordi ambientali. Un esempio da seguire.
Uno studio ha dimostrato che la stratosfera si è ridotta di 400 metri negli ultimi 40 anni e continuerà a farlo se non diminuiranno le emissioni di CO2.
Secondo l’Ipcc, l’ozono troposferico e il black carbon contribuiscono direttamente al riscaldamento globale. Combattere per un pianeta meno inquinato significa quindi contribuire alla lotta contro il cambiamento climatico e a salvare gli ecosistemi.
In una dichiarazione pubblicata sulla rivista scientifica americana Bioscience, oltre 15mila scienziati di 184 Paesi, valutando i progressi dal 1992 a oggi, concludono che presto “sarà troppo tardi” per salvare la Terra. L’appello è firmato esattamente da ben 15.364 studiosi. Nel 1992 la Union of Concerned Scientists aveva radunato più di 1700 scienziati e lanciato il “World Scientists’ Warning
Gli effetti dei cambiamenti climatici sulla salute umana potrebbero essere pesanti e generalizzati. 250mila morti in più all’anno nel 2050 secondo l’Oms.