La regista Sarah Friedland ha usato il suo discorso di ringraziamento alla Mostra del cinema di Venezia per esprimere il suo sostegno alla popolazione palestinese. Per fortuna, non è stata l’unica.
C’era una volta in Bhutan: al cinema la storia delle prime elezioni democratiche nel paese più felice del mondo
Il regista Pawo Choyning Dorji, già candidato all’Oscar per il miglior film internazionale, racconta il suo paese in C’era una volta in Bhutan, una commedia ironica e brillante che arriva al cinema il 30 aprile.
Ci sono gesti che diamo per scontati: accendere la televisione, connetterci a internet, andare a votare. In realtà, di scontato non c’è nulla: sono tutte conquiste. All’inizio degli anni Duemila, mentre in occidente le comodità e i diritti della modernità sono ampiamente sdoganati, il Bhutan decide, ultimo paese in assoluto, ad aprirsi al mondo esterno attraverso la tv e internet. E si prepara a una transizione storica, quella dalla monarchia alla democrazia. A raccontare questa storia è C’era una volta in Bhutan, una commedia ironica e brillante che arriva al cinema martedì 30 aprile.
La trama di C’era una volta in Bhutan
La democrazia in Bhutan non arriva grazie a referendum o rivoluzioni popolari, ma per decisione di Jigme Singye Wangchuck, che ne è stato sovrano dal 1972 al 2006. Il trailer di C’era una volta in Bhutan si apre proprio con l’annuncio della sua intenzione di abdicare, a cui seguono le prime elezioni democratiche del paese. Una novità radicale che, in quanto tale, spaventa i cittadini. Tant’è che, per insegnare loro ad andare a votare, le autorità spediscono i funzionari di villaggio in villaggio e organizzano una finta elezione. Con uno sguardo ironico ma al tempo stesso rispettoso, questa commedia mette in scena questo momento di aspettative e confusione. In cui un anziano Lama, nel villaggio di Ura, si procura un fucile per organizzare una strana cerimonia proprio il giorno delle elezioni.
Uno sguardo ironico e autentico su un paese che crede nella felicità
Quasi tutti gli interpreti del film sono davvero abitanti del villaggio di Ura. Ed è bhutanese anche il regista Pawo Choyning Dorji, reduce dal fortunato debutto con Lunana: Il villaggio alla fine del mondo. Il piccolo stato incastonato nell’Himalaya, grande quanto Sicilia e Campania messe insieme, per molti è associato istintivamente all’idea di felicità. Questo perché la costituzione del 2008, nata proprio in seguito al passaggio da monarchia assoluta a monarchia costituzionale, mette nero su bianco che “lo scopo di un governo è quello di fornire felicità al suo popolo, e se un governo non può fornire felicità, non ha motivo di esistere”. Introduce anche il concetto di felicità nazionale lorda, alternativo al tradizionale prodotto interno lordo (pil) e basato su quattro pilastri: sviluppo socio-economico sostenibile ed equo, tutela ambientale, promozione e preservazione della cultura e buon governo.
“L’innocenza è un valore e un tema così importante dell’essere bhutanesi e purtroppo in questo cambiamento verso un paese più moderno e più istruito, si sta perdendo, perché sembra che la mente moderna non riesca a distinguere tra ‘innocenza’ e ‘ignoranza’. Uno dei motivi principali per cui ho voluto raccontare questa storia è perché volevo condividere con il mondo, e ricordare ai miei connazionali bhutanesi le circostanze uniche che portano all’apertura e alla modernizzazione del Bhutan”, commenta il regista Pawo Choyning Dorji. C’era una volta in Bhutan arriverà al cinema dal 30 aprile, distribuito da Officine UBU.
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