Nel report del VII Index Future Respect tutte le ombre e le luci dei report di sostenibilità. Ma tra i migliori spicca quello realizzato per Pizzoli.
Dal cacao al caffè, quanto è sostenibile la filiera del foodservice dolce
Siamo stati al Sigep, la più grande fiera dedicata alle filiere artigianali del foodservice dolce, per capire quanto il settore stia investendo nella sostenibilità.
Il settore alimentare è un ambito chiave in cui oggi si gioca la grande sfida della transizione ecologica. A cominciare dal grave scandalo dello spreco alimentare, che ha un costo globale che supera i 400 miliardi di dollari l’anno, per poi proseguire con l’ingente sfruttamento di materie prime necessarie per soddisfare i bisogni essenziali dell’umanità (quelli alimentari in primis), che è cresciuto dai 73,2 miliardi di tonnellate del 2010 agli 85,9 miliardi del 2017. Oltre a consumare grandi quantità di risorse naturali, gli attuali sistemi alimentari producono quasi un terzo delle emissioni globali di gas a effetto serra, provocando perdita di biodiversità e impatti negativi sulla salute umana (come malnutrizione e obesità) e – per di più – non consentono un sostentamento equo per tutti gli operatori del settore, in particolare per gli agricoltori. In questo scenario così complesso si capisce quanto sia importante che ogni comparto della filiera del cibo, incluso quello del foodservice (il fuori casa), si sviluppi in modo sempre più serio e deciso nell’ottica di un’economia circolare, che riduca gli sprechi e garantisca una reale sostenibilità economica e ambientale dal campo alla tavola.
La sostenibilità come motore per la crescita del foodservice
A trattare questi temi è stato recentemente il 43esimo Sigep, la più importante fiera al mondo dedicata alle filiere artigianali del foodservice dolce, svoltasi a Rimini dal 12 al 16 marzo scorsi. Un evento utile per tastare il polso e capire le direzioni prese dalla filiera del fuori casa, e in particolare di quelle di gelato, pasticceria, cioccolato, panificazione artigianale e caffè, che si stima valgano in Italia, nel 2021, 9,5 miliardi di euro. Un settore fortunatamente in ripresa dopo le chiusure e le restrizioni della pandemia e la cui crescita dipenderà anche dalle scelte e dagli investimenti che verranno fatti in ottica di una reale circolarità.
A questi argomenti il Sigep quest’anno ha dedicato diversi incontri e panel. A cominciare dall’opening talk, intitolato La sostenibilità come motore per la crescita del fuori casa, e proseguendo con dibattiti sul tema del packaging, del biologico, degli sviluppi in campo di ricerca e tecnologia e dei fondi pnrr a sostegno degli investimenti nella sostenibilità e nel digital.
Sebbene la consapevolezza sul ruolo centrale della sostenibilità sia piuttosto diffusa e condivisa, indagando tra i piccoli e medi operatori del settore del foodservice emerge anche un certo grado di reticenza nel dare priorità agli investimenti in questo ambito. Questo è dovuto all’incertezza di questo momento storico segnato dalla scarsità delle materie prime, dal caro prezzi e dall’instabilità dei mercati, dovuti alla pandemia e alla guerra in corso in Ucraina. Ciò nonostante non mancano gli operatori lungimiranti che proseguono con determinazione sulla strada della sostenibilità, scommettendo su percorsi ambiziosi in risposta a quella che è sempre più una richiesta che arriva direttamente dai consumatori.
Risposta che si concretizza in investimenti nell’innovazione, nella digitalizzazione, nella formazione, nella ricerca e nello sviluppo. E che si traduce in una maggiore trasparenza, circolarità, risparmio energetico e scelte di responsabilità sociale, non solo nel campo della produzione alimentare, ma anche in quello del packaging e dei macchinari per il foodservice professionale.
Il cacao buono con il palato, le persone e il pianeta
Tra i settori chiave del foodservice rappresentato a Sigep c’è quello del cacao. Ingrediente chiave dell’arte dolciaria e gelatiera, esso cela all’interno della sua lunga catena d’approvvigionamento una serie di criticità legate allo sfruttamento dei coltivatori, alla deforestazione e al lavoro minorile. Un aspetto poco noto riguarda anche la precarietà e le grandi difficoltà in cui si trovano le tante donne impiegate nelle varie fasi della filiera del cacao e, in particolare, nella fase relativa alla coltivazione nei campi. Proprio per dare voce, visibilità e maggior tutela a tutte queste lavoratrici, è nato il movimento Women for Cacao and Chocolate, presentato ufficialmente in occasione di Sigep 2022 e promosso da Monica Meschini, tra le più quotate chocolate e tea taster a livello internazionale, nonché cofondatrice dell’International institute of chocolate and cacao tasting e dell’International chocolate awards.
“Si tratta di un movimento in movimento, che nasce dall’amore e dall’orgoglio di chi lavora e vive nel mondo del cacao e del cioccolato, in ogni continente”, spiega Monica che, dopo 35 anni di esperienza nel settore, ha sentito la necessità di fare qualcosa per valorizzare l’anello più debole e invisibile della catena del cacao. “Il nostro desidero è offrire alle donne la possibilità di esprimersi, di comunicare, di manifestarsi, perché il mondo del cacao e del cioccolato non può esistere senza donne”, prosegue la promotrice dell’iniziativa. “In particolar modo nelle zone dove il cacao viene coltivato, si sopravvive, non si vive, e nei campi lavorano le donne quanto gli uomini, ma in più si prendono cura della famiglia, con sacrificio e fatica quotidiana maggiori. Sono le donne che cambiano il sociale”.
Per tutte queste ragioni è fondamentale che chi opera nel settore garantisca un approccio etico, sostenibile e trasparente in ogni fase del ciclo di lavorazione del cacao.
Un esempio virtuoso in questo senso è quello offerto da Icam Cioccolato, azienda lecchese specializzata nella produzione e commercializzazione di cioccolato e semilavorati del cacao che da oltre 75 anni pone la sostenibilità alla base della sua crescita. Azienda famigliare da tre generazioni, Icam ha puntato tutto su un prodotto di qualità che non prescindesse da valori basati sul rispetto dei cicli naturali della filiera e di tutti i lavoratori coinvolti. Un impegno che l’azienda ha voluto rendere trasparente attraverso il bilancio di sostenibilità, arrivato alla sua terza edizione e con il quale Icam comunica traguardi raggiunti e obiettivi, legati alle sue quattro aree di azione prioritarie: filiera, persone, ambiente e innovazione.
A confermare tutto ciò è arrivata anche la scelta di rinnovare la propria corporate identity, con un nuovo pay off Chocolate by Nature che sottolinea il legame con la natura e la consapevolezza che “dalla cura delle materie prime passa la cura per il pianeta e per tutte le persone che condividono il nostro impegno”. A ribadirlo, proprio in occasione del Sigep, è stato Giovanni Agostoni, direttore commerciale Icam Cioccolato e nipote del fondatore dell’azienda Silvio Agostoni che ha parlato di: “Una scelta strategica che conferma l’impegno aziendale verso un approccio sostenibile a 360 gradi, nella piena consapevolezza che non è possibile innovare senza considerare le conseguenze che il proprio business ha sul pianeta e sulle persone. Oggi, infatti, sono i clienti stessi a chiedere alle aziende di adottare comportamenti etici e di privilegiare metodi di produzione a basso impatto ambientale”
Il caffè è un piacere, quando è etico e sostenibile
Tra i beni più scambiati e consumati al mondo, il caffè impiega lungo tutta la sua filiera centinaia di milioni di persone, con una produzione concentrata soprattutto nei Paesi in via di sviluppo, con il Sud America in cima alla lista (Brasile fra tutti). Purtroppo negli anni la sua coltivazione ha spesso provocato grossi danni a livello ambientale e sociale, portando alla deforestazione incontrollata e a fenomeni di sfruttamento della manodopera. Ecco perché, con una domanda di mercato in continua crescita, quello del caffè resta un ambito particolarmente delicato in termini di sostenibilità.
Brasile, l’esempio virtuoso di Cacafé
Un caso interessante in questo senso riguarda sicuramente il Brasile che, come detto, è il primo produttore al mondo di caffè, con oltre 55 milioni di sacchi di chicchi verdi prodotti solo nel 2022. A fare una panoramica della coltivazione brasiliana di caffè e degli investimenti fatti in ricerca, tecnologia e sostenibilità ambientale e socio-economica è stato, in occasione del Sigep, Marcos Matos, direttore esecutivo di Cecafé, il Consiglio brasiliano degli esportatori di caffè, che rappresenta il 96 per cento delle esportazioni del caffè verde del Paese.
Migliorando le tecniche di gestione del suolo ed espandendo le buone pratiche agricole, il Brasile è riuscito negli ultimi anni a ridurre la superficie coltivata di oltre il 55 per cento, aumentando la produttività. Un processo che Cecafé spiega di aver condotto puntando sull’innovazione tecnologica, tecniche di agricoltura di precisione e con l’introduzione della brachiaria decumbens come pianta di copertura tra i filari delle piantagioni di caffè che, riducendo del 40 per cento l’uso di erbicidi, macchinari e attrezzature, ha permesso di tagliare i costi, favorendo una maggiore produttività, pari a cinque sacchi di caffè per ettaro.
Tutto ciò di pari passo con programmi di responsabilità sociale e l’introduzione di un Codice etico e di condotta, basato su principi quali la conservazione delle risorse naturali, l’aumento del reddito, della produttività, la qualità e la parità di genere.
Lavazza, difendere il caffè per difendere il pianeta
L’Italia, come noto, è una grande consumatrice di caffè, con 9,3 milioni di tazzine di espresso bevute ogni giorno e uno dei livelli di torrefazione più alti d’Europa, per un giro d’affari di 20 miliardi di euro. Il settore del caffè è infatti uno dei più tipici e vivaci dell’industria alimentare italiana ed è l’unico (in campo alimentare) che utilizza integralmente materia prima importata.
Tra i brand italiani che investono sulla strada della sostenibilità c’è Lavazza che, con i suoi 120 anni di storia alle spalle e la sua presenza in 90 Paesi del mondo, è impegnata da tempo a diffondere la cultura del buon caffè, nel rispetto del pianeta e delle comunità produttrici.
Uno sforzo che si concretizza in progetti di responsabilità sociale (promossi dalla Fondazione Lavazza) come ¡Tierra! e La Reserva de ¡Tierra!, linee di miscele che puntano sul connubio qualità e sostenibilità, nate in collaborazione con l’ong Rainforest Alliance™ e altri partner locali, a favore di oltre 90mila coltivatori di caffè, in 3 continenti e 17 Paesi. Un impegno che non potrebbe bastare senza la partecipazione attiva di quelli che Lavazza ha chiamato i Coffee Defenders, ovvero una community di baristi con una spiccata sensibilità verso i temi della sostenibilità e una particolare attenzione verso la qualità dei prodotti.
A rendere trasparenti e accessibili queste iniziative è il Bilancio di sostenibilità che Lavazza redige in modo volontario dal 2014, rendicontando i progressivi traguardi raggiunti in tutte le attività e i processi sviluppati in linea con i 17 obiettivi dell’agenda Onu, sottoscritta dall’azienda coinvolgendo tutti i propri stakeholder.
Foodservice, il packaging non è un dettaglio
Quando si parla di foodservice un elemento importantissimo è anche il packaging. Impegnarsi nel garantire la sostenibilità di un prodotto significa, infatti, anche preoccuparsi di come esso verrà poi imballato e venduto. Un caso interessante, tutto italiano, è quello del gruppo Seda, azienda nata negli anni ’60 dall’intuizione di Salvatore D’Amato che, mentre il resto del mondo puntava sulla plastica, decideva di investire sulla carta. Una scelta vincente e che oggi ha portato l’azienda a diventare leader nel settore del packaging alimentare, non solo in Europa, ma in tutto il mondo. Fornitrice di grandi brand e compagnie come Unilever, Mac Donald e Starbucks (solo per citarne alcune), Seda è riuscita così nella sfida di diventare una multinazionale, rimanendo un’azienda famigliare, fedele alla missione con cui era partita: “fornire le soluzioni di imballaggio sostenibili più innovative, superando le aspettative dei nostri clienti con la massima qualità e un servizio eccezionale”.
E così, dalla prima confezione in carta del Calippo al brevetto dei bicchieri Double Wall – che grazie ad una camera d’aria tra due pareti in carta garantisce una performance di isolamento termico unica sul mercato – Seda ha costruito una storia di successo, talvolta rivoluzionando anche il mondo del packaging.
Il vantaggio degli imballaggi a base di carta e fibra è innanzitutto che sono realizzati con materiale naturale e rinnovabile, sono pienamente conformi ai regolamenti europei per gli imballaggi alimentari e possono vantare il più alto tasso di riciclabilità (fonte Eurostat 2017). Si parla dell’85,6 per cento, rispetto agli imballaggi in plastica (40 per cento), agli imballaggi in vetro (76 per cento) e agli imballaggi in metallo (81 per cento). E se è vero che le leggi europee stabiliscono che nel packaging per alimenti possa essere usata solo carta vergine, è vero anche che essa potrà poi essere riciclata fino a 25 volte, prima che perda la sua resistenza. Aspetti da tenere in considerazione, come anche il recente studio fatto sull’intero ciclo di vita (Lca) del packaging in carta, commissionato da Eppa (European paper packaging alliance) ed eseguito dal consulente indipendente Ramboll, che ha addirittura dimostrato la maggior sostenibilità degli imballaggi cartacei monouso rispetto ai sistemi multiuso in plastica, ceramica, vetro e metallo.
La nuova energia del consumo responsabile
Un altro settore direttamente coinvolto nel campo del foodservice è quello dei macchinari e degli strumenti necessari alla produzione. Dai gelati alle pizze, l’impegno che accomuna le aziende più virtuose è quello ad abbattere i consumi energetici.
Un esempio made in Italy di azienda che ha scelto di crescere puntando su questo impegno è Moretti Forni. Con il dichiarato impegno nel “coniugare gli obiettivi aziendali con la riduzione dell’impatto ambientale in un’ottica di sviluppo sostenibile” il brand, nato negli anni quaranta, è oggi un leader nelle tecnologie di cottura dei prodotti lievitati. Il suo impegno si concentra soprattutto nello sviluppare prodotti durevoli, soluzioni per il contenimento energetico, per arrivare a ridurre l’impronta ecologica e ottenere un consumo più responsabile. Con questi commitment l’azienda pesarese è riuscita a brevettare tecnologie per minimizzare l’impatto ambientale, permettendo altissime performance a bassi consumi e servendosi di green energy in tutto il suo processo produttivo.
Ne è un esempio l’ultima novità presentata proprio a Sigep 2022 dall’azienda: il forno serieX che ha permesso un abbattimento dell’impegno energetico del 45 per cento. “Un risparmio energetico mai ottenuto prima sul mercato”, spiega l’amministratore delegato Mario Moretti, esprimendo la sua idea di sostenibilità: “Se l’innovazione significa in qualche modo anticipare il futuro, renderlo reale già da oggi, possiamo dire che la sostenibilità sia un po’ meritarsi il presente, quindi lavorare già da subito per poter essere giusti, adeguati sia nelle cose si fanno che come le si fanno”. Una direzione che oggi, nel mondo del foodservice così come sul mercato in generale, è molto di più di una scelta etica, ma piuttosto una strategia di business vincente che premia e avvantaggia concretamente le aziende più virtuose.
Conversione al biologico, il caso virtuoso di Italia Zuccheri – Coprob
Elemento cruciale della transizione ecologica oggi è la conversione al biologico. Un esempio italiano di questo sforzo arriva dalla filiera dello zucchero, ingrediente chiave di tutto il settore del foodservice dolce, cui Sigep ha dedicato il talk Italianità, sostenibilità e biologico, con Maria Grazia Mammuccini, presidente FederBio (Federazione italiana di agricoltura biologica e biodinamica) e Claudio Gallerani, presidente Italia Zuccheri – Coprob (l’unica filiera corta – tracciata e certificata – di agricoltori che semina, coltiva e lavora zucchero in Italia). Una collaborazione strategica e fruttuosa quella nata tra queste due realtà che ha dimostrato concretamente come la transizione dall’agricoltura convenzionale al biologico non solo sia possibile, ma anche redditizia. Grazie a questo impegno si è arrivati infatti, in pochi anni, ad avere il primo zucchero bio interamente made in Italy e a costruire una filiera che prima non esisteva.
Il processo intrapreso dalla cooperativa ha portato a generare una filiera che oggi è considerata tra le più innovative in Europa. Dai 1.300 ettari di barbabietola convertiti al biologico nel 2019, Coprob è arrivata ai 2500 di oggi, con 16 certificazioni ottenute anche grazie alla collaborazione con FederBio e AssoBio. In termini di agricoltura sostenibile abbiamo deciso di non utilizzare Neonicotinoidi nella concia dei semi delle barbabietole, poiché dannosi per alcune specie animali e in particolare per le api. Scelte che si sposano a obiettivi sempre più ambiziosi: “Abbiamo aderito a Sqnpi (Sistema di qualità nazionale di produzione integrata)”, spiega il presidente Gallerani, “con l’obiettivo nel 2024 di arrivare a coltivare il cento per cento dei nostri ettari, parte in regime biologico e parte in quello di produzione integrata”. Un impegno cui molte altre filiere oggi guardano con interesse, nel comune sforzo di diventare – dalle parole ai fatti – veri artefici della transizione ecologica.
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