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Ripartiamo dalla montagna
Con il Club alpino italiano (Cai) raccontiamo le sfide e opportunità delle terre alte, da un approccio più consapevole alla loro tutela e valorizzazione.
La montagna ha innumerevoli volti: quella dei grandi spazi, quella impervia, quella dolce a bassa quota, quella selvaggia, quella alpina, quella appenninica. Cambiando territori e altitudini, cambia la varietà del suo paesaggio, delle sue forme e della vita che ospita. Negli ultimi anni, però, mostra sempre più anche un altro tipo di cambiamento a cui è soggetta: quello legato al clima.
“Oggi ci troviamo in una fase di cambiamento epocale. Dobbiamo confrontarci con una montagna che sappiamo non sarà più quella che abbiamo conosciuto, ma ancora non sappiamo esattamente come sarà”. Con queste parole Antonio Montani, presidente del Club alpino italiano (Cai), inizia a raccontarci in che momento storico si trova il mondo della montagna, le sfide da affrontare ma soprattutto le opportunità che si aprono davanti.
Perché la montagna riguarda tutti
Per molti la montagna è casa, è uno stile di vita, è il contatto con la natura e dei suoi ritmi, o ancora adrenalina e ossigeno. Per altri, non significa nulla o al massimo una gita domenicale. Eppure la montagna, con qualunque significato le si voglia dare, riguarda tutti. Questo perché le montagne racchiudono fino all’80 per cento dell’acqua dolce presente sul nostro pianeta: sono riserve essenziali per la vita a ogni altitudine, fornendo le risorse idriche per vivere a metà della popolazione mondiale.
La maggior parte di quest’acqua è racchiusa nei ghiacciai, che però si trovano in una condizione di sofferenza, in un ambiente vulnerabile a causa dei cambiamenti climatici. Secondo alcuni studi i ghiacciai delle Alpi al di sotto dei 3.500 metri potrebbero infatti sparire entro il 2050. La perdita di ghiaccio in alta quota ha ripercussioni anche più in basso: la neve che non c’è ora, d’inverno, è l’acqua che mancherà domani, d’estate, a fondo valle, in pianura, nelle città.
“Stiamo cercando di far comprendere che questi cambiamenti incideranno profondamente nelle vite di tutti, non soltanto nella vita degli amanti della montagna, ma anche di chi non la vive, dei cittadini che non la frequentano, perché nella montagna ci sono dei valori che si ripercuotono anche sulla vita in città, pensate all’acqua”, ci dice Montani.
Se vogliamo preservare le montagne, e con loro un terzo di tutta la biodiversità del mondo, dobbiamo infatti agire come una collettività. Per questo motivo LifeGate si allea con il Cai, una libera associazione che ha come obiettivo l’alpinismo in ogni sua manifestazione, la conoscenza e lo studio delle montagne, e la difesa del loro ambiente naturale.
Con il Cai, un nuovo approccio alla montagna
Il processo per sensibilizzare e promuovere una nuova consapevolezza nei confronti della montagna deve per forza includere anche un cambiamento culturale. “È necessario cambiare atteggiamento nei confronti della montagna e, di conseguenza, nei confronti della natura”, continua Montani.
In questo processo, che non è facile perché richiede un cambio nelle abitudini delle persone, è fondamentale la partecipazione delle giovani generazioni che spesso dimostrano una notevole sensibilità al rispetto delle risorse, dell’ambiente. “Molti giovani questa attenzione ce l’hanno. Credo che, una volta tanto, si debba smettere di fare la morale ai giovani e cercare di imparare da loro”. Non è infatti un caso che il Cai, costituito nel 1863, ha lanciato una serie di iniziative mirate ad aggregare e coinvolgere sempre di più le fasce più giovani, come i gruppi Juniores, per avvicinarli al mondo delle terre alte e alle attività che offrono. È prezioso il lavoro di tutte le sezioni Cai: presenti in tutta Italia, è possibile contattarle per partecipare a iniziative e opportunità per conoscere il territorio a varie altitudini.
Un altro fattore per favorire questo processo è la promozione di un turismo sostenibile, come unico modo possibile. “Il turismo di massa è deleterio per la montagna, ormai lo vediamo”, spiega il presidente del Cai. “Ad esempio, l’industria dello sci sta dando e darà nei prossimi anni tutti gli elementi per dire che è un modello di sviluppo fallimentare”. Non possiamo più applicare e portare lo stile di vita cittadino in montagna perché sarebbe semplicemente “spostare il modello urbano in ambiente verticale”. Bisogna quindi favorire un turismo lento, che evita il mordi e fuggi e che si basa invece sulla scoperta a piedi, su più giorni di permanenza, e soprattutto che lascia reali economie alla montagna.
Rendere la montagna un’alternativa possibile
A fianco del turismo, poi, c’è lo stile di vita che la montagna rappresenta e offre. Ma bisogna andare oltre alla visione romanticizzata che spesso tendiamo ad avere di questo ambiente. “La montagna rappresenta un’alternativa allo stile di vita della città”, racconta Montani. “Può sembrare romantico, ma è un’alternativa non facile. Vivere in montagna è faticoso. Non solo per il lavoro che si fa, ma perché è più lontano e si hanno meno servizi”. Su questo aspetto è fondamentale la politica, che deve riconoscere e rendere la vita in montagna una reale alternativa.
“Sovente si parla dei giovani che rincorrono la vita in montagna”, racconta Montani. “Sono esempi, ce ne sono tanti anche molto belli, di giovani nati in città che fanno una scelta diversa di vita”. Ma la vera sfida è far rimanere, o far tornare, chi in montagna ci è nato. “La vera svolta è quando i giovani che sono invece nati in montagna, che hanno un percorso di studi adeguato che li porta ad avere competenze, prendono la decisione di tornare”.
Una sfida che si rispecchia nell’altissimo spopolamento che ormai le terre alte si trovano ad affrontare. Lo dimostrano i dati sulle aree interne, che occupano più della metà della superficie della penisola italiana ma sono abitate solo dal 22 per cento della popolazione.
“L’Italia è una regione di montagna. Penso ad esempio alla dorsale appenninica, un luogo dove lo spopolamento è molto alto, soprattutto tra i giovani, che magari vanno in città per laurearsi e poi non tornano a vivere”.
Aprire un dialogo sul futuro della montagna
Tutti questi temi sono stati il centro del 101esimo Congresso nazionale del Club alpino italiano (dal tema “La montagna nell’era del cambiamento climatico”), che si è posto come obiettivo il dibattito legato allo sviluppo sostenibile dei territori montani dal punto di vista ambientale, sociale ed economico.
Fondamentali sono stati infatti i tre tavoli di lavoro: sulla scienza partecipata (citizen science) e il capitale naturale, sui nuovi comportamenti consapevoli, e sullo sviluppo dei territori montani, che hanno posto le basi per individuare una linea guida che, partendo dall’attuale contesto, guardi al futuro e sottolinei l’importanza di promuovere un approccio sostenibile alla montagna, partendo da ognuno di noi. “La montagna è quel luogo dove ognuno di noi trova il proprio limite. E questo ci aiuta tantissimo nella vita quotidiana”, ci spiega Montani. “Possiamo essere l’alpinista più forte o più scarso, ma ognuno di noi, quando va in montagna si confronta con il suo limite, quindi si confronta con sé stesso”.
Ed è forse questo ciò che ci insegna la montagna, a vedere e riconoscere un limite nella nostra presenza nell’ambiente, e permettere alla natura di prendere il controllo, mostrandoci l’unica via possibile che abbiamo davanti a noi.
Ricominciamo quindi da qui, dal dibattito, dalla condivisione, dalla partecipazione, dalla progettazione e dalla richiesta delle possibilità, da ritmi più naturali, dalla consapevolezza del presente e del futuro. Ripartiamo dalle montagne.
“La montagna è un luogo che ci dà la possibilità di vivere una vita diversa, dobbiamo essere soltanto bravi a viverla con coscienza”.
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