È ormai inevitabile il superamento di un settimo “limite planetario” (su nove), legato al processo di acidificazione degli oceani.
Il caldo estremo negli oceani ha raggiunto il punto di non ritorno nel 2014
È dal 2014 che temperature troppo elevate rappresentano la normalità per gli oceani. Le conseguenze per la fauna rischiano di essere catastrofiche.
- È da ormai otto anni che il riscaldamento degli oceani è irreversibile.
- Nel 2019, una porzione pari al 57 per cento dei mari di tutto il mondo ha sperimentato temperature estreme.
- Tutte le specie marine sono in pericolo: è l’allarme lanciato da una coppia di ricercatori americani.
Pensare che il riscaldamento globale sia un problema sorto di recente o qualcosa per cui non c’è ancora motivo di preoccuparsi, è un errore. L’ennesima conferma è arrivata da due ricercatori californiani che, indagando le cause dietro la morte delle foreste di kelp, sono arrivati a dimostrare che il caldo estremo negli oceani ha raggiunto il punto di non ritorno già nel 2014. Questo significa che, da ormai otto anni, le temperature più alte del dovuto rappresentano la normalità per le acque del Pianeta.
Perché il 2014 è considerato il punto di non ritorno
Kisei Tanaka e Kyle Van Houtan, ecologisti, hanno scelto come termine di paragone la temperatura più alta registrata fra il 1870 e il 1919 nello strato superficiale degli oceani. Hanno poi esaminato il periodo 1920-2019 scoprendo che, nel 2014, oltre il 50 per cento dei record mensili ha superato il parametro di riferimento e che, negli anni successivi, questa percentuale non è più scesa. Per questo hanno individuato proprio il 2014 come “punto di non ritorno”. Il riscaldamento dell’Atlantico del sud, addirittura, è diventato irreversibile nel 1998.
L’ennesima prova dell’esistenza del riscaldamento globale
I risultati dello studio sono stati pubblicati sulla rivista Plos climate e rivelano anche come, nel 2019, una porzione pari al 57 per cento dei mari di tutto il mondo abbia sofferto il caldo estremo. “Abbiamo dimostrato che il fenomeno dei cambiamenti climatici non è qualcosa di incerto, che potrebbe verificarsi in un futuro lontano. È un fatto storico. E si è già verificato”, spiega Van Houtan. “Lo possiamo vedere dappertutto, anche nell’oceano, il fondamento della vita sulla Terra”.
La crisi climatica non è qualcosa di incerto. È un fatto storico.
Gli oceani e le aree più a rischio
Le aree maggiormente in pericolo sono le coste del Nordamerica, le acque al largo di Somalia e Indonesia, e il mare di Norvegia. “Tutti dovremmo tenere alla salute di tartarughe, uccelli marini e balene, ma chi non la pensa così può guardare al risvolto economico: aragoste e capesante, tanto ricercate negli Stati Uniti, vivono proprio nelle zone più a rischio”, continua Van Houtan.
Dal 9 all’11 febbraio 2022 si terrà in Francia il One ocean summit, un evento che si inserisce nel palinsesto dei convegni organizzati nell’ambito del decennio Onu delle scienze oceaniche per lo sviluppo sostenibile. L’obiettivo è quello di convincere i capi di stato ad assumere impegni concreti per tutelare la salute dell’oceano. Ricordiamoci che il nostro è un pianeta blu e che, accanto alla protezione delle foreste, non può mancare quella di fiumi, laghi e mari.
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