Il deposito Eni di Calenzano è stato posto sotto sequestro dopo l’esplosione che ha ucciso cinque persone, ferendone 26.
- La mattina del 9 dicembre, poco dopo le ore 10:00, c’è stata una forte esplosione in un centro di deposito carburante nell’area industriale di Calenzano, provincia di Firenze.
- L’incidente ha causato 5 morti e 26 feriti.
Omicidio plurimo colposo è l’accusa principale formulata dalla procura di Prato nell’ambito dell’inchiesta sull’esplosione nel deposito petrolifero di Calenzano, gestito dalla multinazionale Eni. L’indagine, condotta dal procuratore Luca Tescaroli e dal sostituto Massimo Petrocchi, mira a chiarire le responsabilità di un incidente che ha causato cinque morti, oltre a 26 feriti. La procura ha dichiarato di indagare anche su altri reati, ma al momento mantiene il riserbo.
La tragedia si è consumata il 9 dicembre 2024, quando una violenta esplosione, percepita come una scossa sismica dai residenti, ha generato una colonna di fumo denso visibile a chilometri di distanza. Nonostante l’allarme iniziale, l’Arpat (Agenzia regionale per la protezione ambientale della Toscana) ha rassicurato la popolazione: “Le concentrazioni in aria a livello del suolo, a partire dalla conclusione delle operazioni di spegnimento, sono trascurabili. La nube si è dispersa in quota in tempi relativamente brevi”.
La procura di Prato ha assegnato 60 giorni di tempo ai consulenti incaricati dal pubblico ministero di consegnare una relazione sul deposito Eni.
Che impianto è quello di Calenzano, gestito da Eni
Il deposito di Calenzano è attivo dal 1956 e svolge operazioni di ricezione, stoccaggio e spedizione di carburanti come benzina, gasolio e cherosene destinati, tra l’altro, al settore aereo. Questi materiali vengono trasportati al sito attraverso due oleodotti collegati alla raffineria Eni di Livorno e conservati in serbatoi atmosferici cilindrici, sia a tetto fisso che galleggiante, fino al trasferimento alle pensiline di carico delle autobotti.
La struttura occupa un’area di 170.300 metri quadrati e dispone di 24 serbatoi e 10 pensiline di carico. Le attività di gestione, come il riempimento dei serbatoi e il carico delle autobotti, sono monitorate da una sala controllo centralizzata. Inoltre, il sito dispone di una squadra interna d’emergenza selezionata tra il personale operativo, pronta a intervenire in caso di necessità.
L’impianto è nell’elenco degli “impianti a rischio industriale rilevante”, come spiegano le fonti dell’Ispra. Ce ne sono 975 in Italia e sono sottoposti ai controlli stringenti previsti dalla direttiva europea Seveso, emanata dopo l’incidente in Lombardia del 1976. A Calenzano c’erano oltre 152mila tonnellate di olii minerali, 132mila delle quali di gasolio.
Cosa è successo il 9 dicembre nel deposito
L’incidente è avvenuto intorno alle 10:20 in un deposito situato nell’area industriale di Calenzano, provincia di Firenze. Al momento dell’incidente, diverse squadre di soccorso, tra cui vigili del fuoco e personale sanitario, si sono mobilitate per affrontare le fiamme e cercare i dispersi. Alcuni feriti sono stati trasportati in ospedali locali con ustioni gravi. Dopo circa quattro ore dall’incidente, la situazione è tornata sotto controllo, le fiamme sono state spente e i vigili del fuoco hanno evitato che ci fossero contatti con altri depositi di carburante.
Le cause dell’esplosione sono ancora in fase di accertamento, così come la dinamica è ancora in corso di ricostruzione. Agli inquirenti risulta un guasto che causava un malfunzionamento a una linea dismessa da anni, nelle condotte di collegamento tra i silos di stoccaggio, nella parte terminale della linea di carico per le autobotti. È su questa avaria e sulle modalità dei lavori in corso, nonché sulle condizioni di sicurezza in cui i tecnici operavano, mentre gli autisti rifornivano i camion, che puntano le ricostruzioni per trovare la causa dello scoppio. Quel che è certo è che la strage sarebbe potuta essere ancora peggiore se le fiamme avessero colpito anche i depositi con quasi 160mila tonnellate di combustibile stoccati a ridosso della ferrovia e dell’autostrada (che dopo essere stata bloccata per più di due ore ha riaperto alla viabilità).
Una delle vittime aveva segnalato anomalie
Considerato strategico per la regione, l’impianto era già stato oggetto di segnalazioni di rischio per la sua posizione vicina a zone residenziali e per il potenziale pericolo in caso di incidenti. Due mesi fa Vincenzo Martinelli, camionista morto nell’esplosione insieme ai colleghi Carmelo Corso e Davide Baronti, avrebbe messo in evidenza “continue anomalie sulla base di carico” in una lettera alla sua azienda Bt per contestare un procedimento disciplinare a suo carico sul rifiuto di finire un viaggio. Si è salvato per un soffio un operatore che ha notato un’anomalia nell’area pensiline di carico dando l’allarme pochi istanti prima dell’esplosione.
Al momento non emergono indagati dalla procura di Prato che ha ordinato acquisizioni di documenti, e-mail, corrispondenza, chat, sia in più sedi dell’Eni, sia alla Sergen srl di Potenza, la ditta specializzata in manutenzioni meccaniche. Intanto il sindaco della città, Giuseppe Carovani, ha commentato l’accaduto: “l’ultimo aggiornamento del piano di emergenza esterno risale al 2021, poi c’era un aggiornamento in corso. Da quello che so io Eni aveva già proposto l’aggiornamento, che era in corso di valutazione”. Ogni 3 anni, l’Eni ha l’obbligo di presentare l’aggiornamento del piano.
Un monito per accelerare la transizione energetica
Quella di Calenzano è solo l’ultima tragedia di un 2024 caratterizzato da 890 incidenti mortali sul lavoro (+2,5 per cento rispetto al periodo precedente). Come specifica l’Inail, sono diminuiti i casi avvenuti sul posto di lavoro (passati da 672 a 657), mentre sono aumentati quelli occorsi nel tragitto casa-lavoro, da 196 a 233.
La tragedia di Calenzano, dunque, solleva interrogativi più ampi sulla sicurezza delle infrastrutture legate alle fonti fossili e sui rischi che queste continuano a rappresentare, sia per i lavoratori che per le comunità circostanti. Impianti come quello gestito da Eni, anche se sottoposti a controlli rigorosi (sui quali sta indagando la procura), evidenziano come la gestione di materiali altamente infiammabili resti una sfida complessa e pericolosa. Questo incidente, come altri verificatisi in passato, pone l’accento sull’urgenza di accelerare la transizione energetica verso fonti più sicure e sostenibili, che ridurrebbero drasticamente i rischi di disastri industriali e ambientali. Un ulteriore elemento di riflessione, poi, riguarda il ruolo dello Stato, che in qualità di azionista di Eni, ha una responsabilità duplice: garantire non solo la sicurezza energetica del paese, ma anche quella dei lavoratori che operano in settori strategici. Calenzano deve dunque servire come monito per rafforzare le misure di sicurezza sul lavoro e accelerare le politiche di diversificazione energetica. Una transizione giusta e tempestiva verso fonti rinnovabili non è solo una necessità ambientale, ma anche una questione di tutela della vita umana e delle comunità coinvolte.
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